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IL CAMPANILE
QUOTIDIANO DEI POPOLARI UDEUR
Segretario nazionale CLEMENTE MASTELLA
28 GIUGNO 2006
«LEALE COLLABORAZIONE, CONDICIO SINE QUA NON»
Caselli: «Dal ministro rilievi di buon senso sulla giustizia. Il diritto penale non può governare i fenomeni sociali»
di Antonio Pitoni

Un occhio alle cifre, l’altro alla sostanza. Il Procuratore generale di Torino, Giancarlo Caselli, è uno abituato ad andare dritto al punto. Il suo curriculum, del resto, parla chiaro: in prima linea nella lotta alla mafia ai tempi di Palermo, dove ha guidato la Procura della Repubblica, e una parentesi nel complicato mondo dell’amministrazione penitenziaria come capo del Dap. Un mondo, quello delle carceri italiane, che Caselli conosce bene: «Ci si deve chiedere se la detenzione sia sempre e comunque la misura giusta», spiega il pg di Torino. E il dato da cui partire, corollario necessario ad ogni discussione su un possibile provvedimento di amnistia o indulto, è la «crescita impressionante» della popolazione carceraria dal ’90 ad oggi.
Lei è stato capo del Dap: ritiene che un provvedimento di clemenza possa portare benefici al sistema penitenziario se, come ha chiarito ieri il Guardasigilli nella sua audizione alla commissione Giustizia del Senato, abbinato a misure di sistema?
«Negli ultimi quindici anni c’è stato un aumento imponente del numero dei detenuti. Al 31 dicembre del ’90 eravamo a 25.804 unità. Oggi sono oltre 61mila, alle quali vanno aggiunte circa 40mila persone che scontano la pena con misure alternative al carcere. Un primo problema riguarda, quindi, la questione del sovraffollamento: mancano all’appello circa 20mila posti letto, che vuol dire a volte 8-10 persone in celle che ne possono contenere 4. E’ ovvio, allora, che ci troviamo di fronte ad un inasprimento della pena non previsto da nessuna legge. Seconda questione: se dal ’90 ad oggi c’è stato questo aumento impressionante della popolazione carceraria, composta per il 32,53% da stranieri e per il 26,36% da tossicodipendenti (dati 2005, ndr), ci si deve chiedere se il carcere sia sempre e comunque la misura giusta».
Quindi?
«Per esempio nei casi citati, immigrazione clandestina e reati legati al mondo degli stupefacenti, credo non sia solo un problema di repressione. Perché soluzioni alternative potrebbero rintracciarsi nella legislazione del Welfare, nel primo caso, e in quella della Salute nel secondo. Quanto alla questione amnistia e indulto, si tratta di una scelta che spetta alla politica. Sono provvedimenti che possono avere un effetto decongestionante e benefico sul sovraffollamento, ma ritengo che vadano accompagnati da misure di sostegno per chi esce dal carcere per evitare che chi ha scontato la pena finisca risucchiato in una spirale di recidiva perpetua. In questo modo si persegue anche un interesse sociale, eliminando, per ogni detenuto reinserito, un fattore di rischio per la collettività».
Insomma, sta parlando della necessità di un ripensamento del sistema penale?
«Bisogna fare attenzione a non cadere nell’illusione che la strada giudiziaria sia sempre la migliore. Il diritto penale è ontologicamente inadatto a governare fenomeni sociali, come la droga, o addirittura epocali come nel caso dell’immigrazione. L’accesso indifferenziato al giudice, quindi, costituisce solo apparentemente una forma di garanzia. La sanzione efficace non è quella esemplare, ma quella tempestiva, con quanto ne segue in termini di riduzione e dell’entità delle pene e dei gradi del giudizio. In molti casi, forme alternative di tutela, tentativi di conciliazione preventiva obbligatoria, interventi arbitrali, sono più utili e soddisfacenti».
Tra i primi atti del nuovo governo c’è il ddl Mastella che introduce una moratoria alla riforma dell’ordinamento giudiziario varata dal precedente esecutivo. Il ministro ha toccato di nuovo ieri nel suo intervento alcuni aspetti della riforma che andrebbero rivisti: sistema dei concorsi, organizzazione delle Procure, distinzione delle funzioni, azione disciplinare obbligatoria. Una scelta condivisibile?
«Sono osservazioni di logica e di buon senso. Sono convinto che questo ordinamento giudiziario avesse un obiettivo: regolare i conti con i magistrati. Per arrivare a questo risultato sono state approvate delle norme palesemente incostituzionali. Basta mettere a confronto il messaggio con il quale il Presidente Ciampi ha rinviato alle Camere il testo non promulgato, con quello successivamente approvato per rendersi conto che i suoi rilievi sono stati accolti solo in minima parte. Se questo ordinamento fosse stato in vigore agli inizi degli Anni ’90, Mani Pulite non sarebbe mai cominciata. Sono tanti i profili che non vanno. Prendiamo ad esempio le norme sulla progressione in carriera: un terzo dei magistrati sarebbe perennemente impegnato a preparare esami e concorsi sottraendo tempo al lavoro, con conseguente aggravamento del già grave problema della durata dei processi».
Insomma, il governo ha lanciato un messaggio chiaro: ripartire dal dialogo e dal confronto. E Mastella ha parlato di «leale collaborazione tra ministero e Csm» quale «presupposto indispensabile». Siamo sulla strada giusta?
«E’ la condicio sine qua non per cambiare realmente qualcosa. I magistrati sono solo una componente del dibattito che, come tale, non vuole aver ragione a tutti i costi, ma chiede solo di essere ascoltata con rispetto. Questo spirito di dialogo e confronto è assolutamente indispensabile».
Il caso Antonveneta, il Lazio-gate, poi lo scandalo di Calciopoli e adesso Vallettopoli. Risultato: dibattito riaperto sull’uso dei verbali di intercettazioni. Occorre una revisione della disciplina per prevenire abusi?
«Credo che l’intervento del Garante per la privacy sia estremamente preciso, dettando linee guida che, se applicate, sarebbero ineccepibili. Lo strumento delle intercettazioni non può essere eliminato né compresso. C’è, semmai, un problema di utilizzo, rigoroso, solo delle intercettazioni che sono indispensabili per le indagini. Credo sia un problema che involge i magistrati, gli avvocati, la polizia giudiziaria, gli organi di informazione. Mai come in questo caso un confronto serrato tra tutte le forze in campo, partendo da questo documento del Garante della privacy, può essere decisivo per trovare la risposta giusta».
Da nove mesi, dalla nomina di Piero Grasso al vertice della Procura nazionale antimafia, a Palermo, in una sede che riveste un ruolo chiave nella lotta alla criminalità organizzata, il posto di Procuratore della Repubblica che lei occupò in passato è ad oggi ancora vacante…
«Sono troppo emotivamente coinvolto. Preferisco non esprimere un giudizio al riguardo».
La lotta alla mafia, però, deve andare avanti…
«La proposta del ministro Mastella di ricostituire la Commissione per la redazione di un testo unico della normativa anti-mafia, già presieduta dal professor Fiandaca, mi pare un passo di notevole rilevanza. E’ un proposito che mi auguro sia tradotto in cifra operativa al più presto. Un’altra cosa da fare è ripristinare subito il commissariato governativo deputato alla gestione dei beni confiscati alla mafia, una prova concreta che la legalità paga, anche in termini di opportunità di lavoro. Il commissariato era una struttura che si occupava in modo esclusivo e specializzato della questione, soppressa senza motivi validi nella passata legislatura. Sono due cose che si possono fare subito e, al tempo stesso, due pilastri irrinunciabili per dare l’esempio».

INES TABUSSO