00 08/01/2006 20:10
IL GIORNALE
8 gennaio 2006
La sinistra Ds assalta il bunker di D’Alema
Il presidente si difende: «Io e Fassino non siamo colpevoli di niente». La minoranza lo contesta: troppi errori. Mussi: alla direzione saremo divisi
Luca Telese
da Roma

Chiamatela pure «bunkerite». Il gruppo dirigente dei Ds prova a rinchiudersi in trincea, sembra perdere lucidità e continua a perdere pezzi, a vedere minata ora dopo ora la sua pretesa unanimista sulla linea della chiusura a riccio: e infatti ieri sia il nume tutelare che il leader del Correntone si sono pubblicamente sottratti alla chiamata di arruolamento, spiegando i motivi del loro dissenso dalla linea del segretario dei Ds.
Il primo è stato Giovanni Berlinguer, che in una intervista alla Repubblica ha preso le distanze dai signori del Botteghino: «Sono d'accordo con Napolitano, come con Fabio Mussi e Vittorio Foa: avremmo dovuto essere più distanti da decisioni che spettano alle istituzioni e all'autonomia delle cooperative». Il secondo, nella serata di ieri, è stato Fabio Mussi, che ha gelato con una doccia scozzese il povero Fassino. Splendido l'incastro dei tempi: il segretario aveva fatto appena circolare sulle agenzie una velina («Fassino pensa alla riscossa e al rilancio dell'Ulivo», in cui dipingeva una situazione idilliaca, e un leader serenamente al lavoro) che il numero uno del Correntone ha reso manifesto il suo dissenso: «Mi pare difficile che la direzione Ds di mercoledì prossimo possa concludersi unitariamente».
Il problema è tutto qui: dopo l'intervista-manifesto di Massimo D'Alema («Io e Fassino colpevoli di nulla») per i Ds è iniziato il conto alla rovescia in vista del redde rationem definitivo, la riunione della direzione prevista per mercoledì. La linea, di fatto, è quella tracciata dal presidente, dal momento che il segretario sembra ancora fuoripartita, tarato sul fuso orario di Città del Messico (dove era in vacanza): per D'Alema, come è noto, i Ds non hanno niente da rimproverarsi, il problema dell'Unipol semmai è una vicenda di Giovanni Consorte. Mirabile la perla che D'Alema si è fatto sfuggire nell'intervista alla Repubblica: «Sono convinto che alla fine di questa storia Consorte uscirà pulito. Al massimo gli imputeranno un'evasione fiscale... Una brutta cosa, per carità, ma mi pare un vizio piuttosto diffuso in questo sciagurato Paese». La novità, nelle due lenzuolate di forum pubblicate ieri dall'Unità era un'altra precisazione, tanto infinitesimale, quanto interessante: «È possibile, è probabile che ci siamo anche mie telefonate con Consorte. Immagino di sì». Inutile dire che tra i dirigenti ds che hanno avuto a che fare con il supermanager delle Coop è diffusa la certezza che presto arriveranno nuove intercettazioni, e incute un qualche timore l'idea che trapelino - tanti boatos considerano l'ipotesi imminente - il testo delle conversazioni di Nicola Latorre, senatore ed ex braccio destro del líder maximo. Una sospensione che pesa anche sul resto della coalizione, se è vero che molti nei Ds giudicano preoccupante il silenzio di Francesco Rutelli: dalle sue vacanze a Mauritius non ha proferito parola, né per attaccare né per difendere i dirigenti della Quercia. Segno che - almeno per ora - continua a tenersi le mani libere (fra l'altro, sempre a Mauritius, era in ferie anche Clemente Mastella, che rientra lunedì). Insomma, molti cuori sono tutt'ora sospesi, ieri, insieme allo schiaffone ammonitorio di Giampaolo Pansa (che chiede a Fassino e D'Alema di «offrire al partito le loro dimissioni») [1] c'è chi è rimasto stupito per la durezza di Mussi. Il quale, dapprima iniziava la sua esternazione con una considerazione attenuativa («nessun nostro dirigente è accusato di reati, e sono sicuro che non ne siano stati commessi, che non ci sono cioè storie di soldi e di affari, nuove tangentopoli che riguardino i Ds. Questo è molto importante e in questo senso io difendo il partito come fa D'Alema»); poi poneva tutta la forza del problema politico aperto dall'inchiesta, senza troppi complimenti: «Se l'assenza di reati assolvesse anche dagli errori politici, basterebbe affidare i congressi di partito alla magistratura. Invece, nel caso delle scalate bancarie, e delle recenti alleanze che si sono intrecciate, sono stati commessi errori politici che rimandano a limiti più di fondo - politici, strutturali, etici, culturali - via via accumulati dalla sinistra italiana». Le ultime parole sono una lapide sui progetti di «riscossa» istantanea di Piero Fassino: «Se non c'è disponibilità a discutere seriamente e a correggere tempestivamente, allora si sbaglierà ancora e ancora. Sono disposto ad assumermi ogni responsabilità, ma non questa». Fiati sospesi, al Botteghino.




[1]
CORRIERE DELLA SERA
7 gennaio 2006
Pansa: il leader ds e D' Alema offrano le dimissioni
«La Quercia ormai è un partito come un altro, non accampi pretese di superiorità»
l'intervista
di Aldo Cazzullo

Giampaolo Pansa, lo dica: lei e Galli della Loggia vi eravate parlati? «Non è impossibile giungere separatamente alla stessa conclusione, lui sul Corriere, io sull' Espresso. Semmai colpisce che non ci siano arrivati i Ds». Galli della Loggia scrive: il problema non è Consorte ma la consorteria. «Galli della Loggia ha centrato la questione. Fassino sapeva chi erano davvero Consorte e i suoi compagni di merende, Fiorani, Ricucci, Gnutti? Gente accusata di associazione a delinquere? Se non sapeva, allora denota un difetto di informazione inammissibile per un segretario di partito: forse qualcuno gli nascondeva notizie cruciali. E' possibile però che Fassino sapesse, ma non se ne preoccupasse, e per spregiudicatezza abbia continuato a "fare il tifo" nella convinzione machiavellica che il fine giustificasse i mezzi». Secondo lei? «Mi spiace davvero parlarne. Conosco Fassino da trent' anni. E' piemontese come me. L' ho sempre stimato. L' ho visto battersi con coraggio contro il terrorismo in anni drammatici. Ed escludo che possa arricchirsi personalmente con la politica». Secondo lei? «E va bene. Secondo me, uno come Fassino, che fa politica da una vita, che è intelligente e accorto, sapeva benissimo chi era davvero Consorte, come si muoveva, quali alleanze stringeva. Ma a Fassino premeva che le coop prendessero la Bnl. E per quel fine è passato sopra a tutto. Il problema è che ora questo tutto si è fatto grande, forte, viscido. E rischia di costargli caro. Posso raccontare un ricordo personale?». Certo. «Tangentopoli. Milano, luglio 1992. Occhetto affronta due assemblee roventi di militanti e dirigenti del Pds. Si parla di mazzette. Il segretario dice: "I fatti emersi non li conoscevo. Non sapevo, anche se qualche volta ho sentito puzza di bruciato". Reggio Emilia, festa nazionale dell' Unità, 8 settembre 1992. Sono invitato a un dibattito. Modera Gad Lerner. E resta con gli occhi sbarrati quando osservo: "Occhetto non può dire che non sapeva. Se lo dice, o è un bugiardo o è un ingenuo al cubo. In entrambi i casi deve dimettersi da segretario del partito". Mi aspettavo di essere assalito. Invece: applausi torrenziali». Fassino come Occhetto? «Tredici anni dopo, Fassino è di fronte a un problema analogo. Sapesse o no della consorteria, come la chiama Galli della Loggia, in entrambi i casi ha danneggiato il partito e anche se stesso. Tempi di reazione troppo lenti. Poco dopo la metà di dicembre, sull' Espresso gli ho consigliato di abbandonare Consorte, invitarlo a dimettersi, chiedere alle coop di rinunciare alla scalata Bnl. Invece lui se n' è andato in vacanza in Messico. Ora, non mi attendo che un segretario generale rinunci a giorni sereni a Puerto Escondido per dar retta a un vecchio giornalista. Resta il fatto che adesso nei Ds c' è un marasma mai visto né immaginato. E la figura di Fassino è incrinata. Ha il piombo nelle ali. Entra in campagna elettorale con un handicap pesante. E non sono cose che si eliminano con qualche intervista». Sta dicendo che Fassino dovrebbe dimettersi? «È sempre difficile usare questa parola. Ma credo che lui e D' Alema dovrebbero offrire le dimissioni agli organi del partito; darebbero un buon esempio in un Paese dove nessuno si dimette mai. Ma non lo faranno. Alla vigilia del voto, poi». Questa storia può cambiarne l' esito? «Non credo. Per fortuna c' è Prodi, che ha fatto benissimo a scrivere la sua lettera alla Stampa. E Berlusconi, con la barzelletta secondo cui non ha mai fatto affari con la politica, obbliga ad andare alle urne anche chi non ne avrebbe voglia. Ma questa non è una storia qualsiasi. E' una storiaccia. Pare scritta da uno sceneggiatore incarognito con i Ds. Il Cavaliere ci farà su tutta la campagna elettorale. E non finirà qui. Mettiamo che l' Unione vinca. Non credo che D' Alema voglia fare il ministro. In ogni caso, né lui né Fassino potrebbero assumere un incarico economico: sarebbero troppo sospetti di parzialità. Le diarchie sono sempre pericolose. Ora è come se i diarchi tornassero dalle vacanze ognuno con una gamba rotta». Anche lei con la storia del leasing e della barca? «Dello stile di D' Alema mi sono occupato a tempo debito e non mi importa più nulla. Piuttosto ho letto con stupore su Repubblica, quasi non credendoci, un virgolettato del presidente Ds convinto che Consorte "uscirà pulito. Al massimo gli imputeranno un' evasione fiscale; un vizio piuttosto diffuso in questo sciagurato Paese". Ma come fa a esserne così sicuro? Con un' inchiesta in corso? E se uscissero altri conti a Montecarlo o in Svizzera? Io non credo che spunteranno conti intestati a diessini. Ma neppure so cosa sia nascosto in fondo a questo vaso di Pandora». Nel forum all' Unità D' Alema denuncia una campagna mediatica. «Queste leggende grottesche mi hanno stufato. Parlare di manovre o persecuzioni significa evocare una Spectre che non esiste. Pensano sia una forma di difesa. E' una forma di autolesionismo». Nel suo Bestiario di ieri lei si chiede se i 48 o 50 milioni di euro di Consorte fossero davvero tutti suoi. «Mi pare una domanda legittima. Mai, neppure ai tempi di Mani Pulite, era stata scoperta una tangente così mostruosa riservata a una sola persona. Consorte aveva bisogno di tutto quel denaro per sé e per Sacchetti? Volevano diventare i due postcomunisti più ricchi d' Italia? Non dico che a pensar male si fa peccato ma si indovina; però non credo che quei soldi fossero riservati solo a loro. Una parte potrebbe essere destinata a persone o settori del partito. In fondo che sappiamo noi della nomenklatura diessina? Intercettazioni come quelle del tesoriere Sposetti che raccomanda a Consorte di non dare tutti i dettagli a Fassino fanno pensare. Per fortuna...». C' è anche una fortuna? «Sì. Finisce il complesso dei migliori, come lo chiama Luca Ricolfi. Ormai è chiaro che i Ds sono un partito come gli altri. Che non hanno ragione di essere così arroganti, perché purtroppo stava diventando arrogante anche Fassino, sempre così nervoso, collerico. Che neppure loro sono unti del Signore. Che è tempo di smettere di accampare pretese di superiorità etica e ripararsi ogni volta dietro lo scudo di Berlinguer; il quale, per il poco che l' ho conosciuto, come minimo si rivolta nella tomba. Per aver scritto queste cose anni fa sono stato insultato, chiamato ora terzista, ora berlusconiano, ora reazionario. Alle feste dell' Unità non mi invitano più. Mi resta la soddisfazione di aver visto giusto. E i capi del Botteghino farebbero bene a occuparsi del rifiuto della loro politica che sta montando. Invece si occuperanno solo di salvare la poltrona».





L'ESPRESSO
numero 1 del 2006
Bestiario di Giampaolo Pansa

Furbetti o citrulli nel Botteghino dei Ds?

La vicenda Unipol dovrebbe spingere Fassino a dare un taglio netto a tutto l'armamentario che rende sgradevole la sinistra italiana

Ci sono soltanto furbetti al Botteghino della Quercia, come ha sostenuto su 'L'espresso' Claudio Rinaldi? Oppure ci sono anche tanti citrulli, sia al vertice del partito che fra i big di provincia, quelli che poi comandano davvero, ben più che i Fassino e i D'Alema? Sono per la seconda tesi, confortato da un'esperienza recente che mi ha portato a presentare un mio libro in molte città dell'Italia del nord, quasi tutte governate dal centro-sinistra e dove i Ds sono di gran lunga il partito più forte.

Quel che ho visto mi fa sorridere di sardonica soddisfazione. In tanti posti i Ds, a cominciare dai sindaci e dai dirigenti delle federazioni, hanno cercato di farmi il vuoto attorno, con il pretesto falso che 'denigravo la Resistenza'. Si affannavano contro un giornalista e non si accorgevano che stava per cadergli sulla testa la maxi-tegola dell'Unipol. Il caso più grottesco è quello di Reggio Emilia. A parte l'Associazione riformista Valdo Magnani, la strapotente burocrazia della Quercia si è fatta venire il mal di stomaco per il sottoscritto. Nel frattempo, si scopriva che nella città rossa si era infiltrata l'ndrangheta, con tanto di arresti. E che uno dei loro eccellenti, l'Ivano Sacchetti, spalla del compagno Gianni Consorte, stava per essere incriminato e ruzzolare dal piedistallo.

La presenza sovrabbondante di citrulli è poi confermata dalla convinzione che, uscita di scena la diabolica coppia Gianni & Ivano, tutto possa ritornare a posto nell'Unipol e nell'arcipelago delle cooperative rosse. Ma questa è una pia illusione. Per cominciare, rimane l'enigma di quei 50 o 48 milioni di euro, incassati all'estero e su conti cifrati, per presunte parcelle professionali. È una somma enorme, quasi 100 miliardi di vecchie lire, che obbliga a due domande. Davvero il vertice della Lega delle cooperative non ne sapeva niente di niente, come ha dichiarato alla 'Stampa' il presidente Giuliano Poletti? E davvero quella montagna di soldi era destinata soltanto a fare di Gianni & Ivano due nababbi di provincia?

Queste domande generano altri quesiti che è naturale proporsi. Parte di quella iper-somma era riservata ad altre persone e per altri scopi? È possibile che si trattasse di una super-tangentona da dirottare, per esempio, verso il Botteghino o i suoi dintorni? Vannino Chiti, il solo dirigente rimasto a fare la guardia al bidone di via Nazionale e dunque l'unico a dover parlare nelle vacanze di fine d'anno, ha replicato con sdegno: "Per l'onore del partito, non tolleriamo schizzi di fango". Forse avrà ragione, ma l'anatema contro gli schizzi di fango l'ho sentito molte volte nei due anni ruggenti di Tangentopoli. E quasi sempre si scopriva che erano schizzi di soldi, e spesso schizzi grossi e grassi.

Anche l'arcipelago delle Coop rosse si presta agli stessi dubbi. L'elettore critico di sinistra, quello pieno di se e di ma, si chiede: è possibile che tutto si riduca ai due presunti geni del male, con quelle maschere facciali da commedia dell'arte, il tronfio Consorte e lo spiritato Sacchetti? Oppure c'è dell'altro? La procura di Milano ha iscritto nel registro degli indagati l'Unipol per non aver saputo prevenire i reati che sarebbero stati commessi da suoi dirigenti. Ma l'elettore malmostoso va più in là. Intravede troppi miliardi in nero, troppe tasse non pagate, troppi guadagni in Borsa grazie a manovre illecite, troppe alleanze indecenti rispetto alla conclamata etica cooperativa. E scopre una grande fogna, stavolta non in casa del Berlusca, bensì in casa propria.

In questa pozza nauseabonda affonda per sempre 'il complesso dei migliori', come l'ha chiamato il sociologo Luca Ricolfi. Ossia la convinzione della sinistra di essere eticamente migliore della destra, una sicurezza ferrea e ben radicata in gran parte della nomenklatura diessina e in tanti dei suoi elettori. Ma dal male può venire un bene. La tragedia Unipol dovrebbe spingere i leader della Quercia più accorti e umani, e per primo Piero Fassino, a dare un taglio a tutto l'armamentario che spesso rende sgradevole (e antipatica, per dirla con Ricolfi) la sinistra italiana.

Lo conosciamo questo groviglio di vizi pubblici, per averlo incontrato e descritto molte volte. Un fenomenale complesso di superiorità, da sbattere in faccia ad alleati e avversari. La spocchia personale. La puzza sotto il naso. L'irrisione e l'esclusione di chi non sta al gioco. La sicurezza arrogante di essere insuperabili, come il tonno dello spot, nel governo, nell'amministrazione, nella manovra politica, nell'analisi intellettuale, nell'onestà. Il considerare ogni critica un complotto orchestrato da una Spectre nemica del partito.

Ecco la robaccia che trasforma un dirigente in un ras. Ma la Quercia può essere un partito di ras? Penso proprio di no. I ras stancano la gente e allontanano i voti. Furbetti e citrulli, attenti a non stancare. Favorite soltanto la vostra rovina. E quella della vostra parrocchia.

INES TABUSSO