Claudio Sabelli Fioretti intervista Renato Farina
Corsera Magazine
18 agosto 2005
È tutta la vita che vive all?ombra di Vittorio Feltri, il direttore di Libero.
Eppure Renato Farina è un bravo giornalista, è un prezzemolino in televisione,
è famosissimo in ambienti cattolici, amico di persone importanti come Giulio
Andreotti dopo esserlo stato di Craxi e di don Giussani. Aveva una certa
consuetudine perfino con papa Wojtyla e usa passare la sera di Natale con
Silvio Berlusconi. Ma non ha mai fatto il grande salto.
Renato, che cosa è che ti frena? Forse la tua carriera sarebbe stata più
brillante se fossi stato più coraggioso.
«Più coraggioso che cosa vuol dire?».
Vuol dire liberarsi una buona volta di Feltri.
«Le scelte importanti della mia vita sono sempre state affettive. D?altra
parte non mi vuole nessuno. Fingono tutti di volermi. Verresti? Faresti?
Ma non si concretizza mai nulla».
Ma tu lasceresti Feltri di fronte ad una proposta allettante?
«Chiederei consiglio a Feltri».
Lasceresti Feltri se ti offrissero di andare a dirigere il Giornale?
«Se Feltri mi dicesse di sì...».
Edipo puro. Litighi mai con Feltri?
«Qualche volta, ma il giorno dopo siamo più amici di prima. Generalmente
litighiamo su Dio. Lui sostiene che Dio non c?è. E se c?è, è cattivo».
Insomma, è ateo.
«Una volta per offendermi mi disse delle cose così atroci che io non ce la
feci più: ?Guarda Vittorio: ti assicuro che Dio c?è. E tu gli stai pure sui
coglioni. Lo so per certo?. Abbiamo litigato ferocemente anche sull?immortalità
dell?anima. Lui sostiene che la Bibbia non ne parli. Adesso litighiamo sugli
embrioni. Ma ho imparato a sopportarlo. E anche lui sopporta me».
Litigate anche su Berlusconi?
«Su Berlusconi ci dividiamo i compiti. Feltri a volte va giù pesante».
Tu invece?
«Il giorno dopo corro a ricucire quello che Feltri ha strappato. Feltri dice
che soffro di ?inchinite? nei confronti di Berlusconi».
Hai scritto due pezzi storici su Berlusconi, quello della notte di Natale
(1)
e quello della visita nella villa in Sardegna.
«Quando Berlusconi lesse quello di Natale quasi si suicidava».
E smentì l?intervista.
«Smentì il virgolettato».
Mica poco.
«Disse: non è farina del mio sacco. È farina del sacco di Farina. Fu una
formula concordata con Feltri. Perché lui sa bene che mi aveva detto tutte
quelle cose».
Smentito come un comunista qualsiasi.
«Gianni Letta mi ha detto che Berlusconi era contento. Ma fu costretto a
smentire da Letta stesso e da Bonaiuti che erano veramente furibondi».
Racconta quella notte di Natale, tu e Silvio da soli, ad Arcore.
«Premetto una cosa: io voglio bene a Berlusconi. C?è un rapporto di amicizia.
C?è una certa confidenza. Quel Natale di due anni fa lui era appena tornato
da Roma e mi aveva chiamato verso le otto di sera per dirmi se volevo passare
a trovarlo».
La notte di Natale il primo ministro telefona a te...
«Tutti i Natali ci vediamo per farci gli auguri. E io gli porto un microregalo.
Quella volta gli portai un salame della Brianza lungo un metro. E lui mi
regalò un Cartier».
Ci hai guadagnato.
«Lui mi disse: ?Domani i giornali non escono, vero? Allora posso raccontarle?.
E mi raccontò di un?emergenza terrorismo in Vaticano».
E tu l?hai scritto.
«Due giorni dopo. Pensavo veramente che lui lo volesse».
Risultato?
«Un pandemonio. Berlusconi telefonò a Feltri piangendo. ?Renato mi ha tradito!?».
Fine dell?amicizia.
«No. Solo sospensione dei rapporti personali per sei mesi».
E la visita in Sardegna?
«Berlusconi mi aveva telefonato per farmi gli auguri a Ferragosto».
Non fate altro che scambiarvi auguri.
«Lui mi disse: ?Andiamo qualche giorno in Sardegna?».
Ti sgridò perché non avevi portato calze da jogging.
«E anche perché mi ero profumato. Probabilmente era anche un profumo da donna.
Berlusconi è veramente eccezionale. La sua forza è che ti fa sentire pari
a lui. Non è né arrogante né finto umile».
Alla fine hai raccontato il tuo week end con il Cavaliere e Travaglio ha
scritto due pezzi accusandoti di piaggeria (2).
«Quando l?ho letto ho provato gioia. Mi tranquillizzava per i miei rapporti
con Berlusconi che diceva che non l?avevo trattato bene».
Ti hanno definito giornalista embedded.
«Gian Antonio Stella e Gad Lerner mi hanno detto che quei due pezzi erano
perfetti, non c?era nessuna ?inchinite?. E Berlusconi è più favorevole alla
versione di Stella e di Gad Lerner, se la cosa ti può consolare».
Mi consola. Ma sei embedded o non sei embedded?
«Io non sparo dove vuole Berlusconi».
Racconta la tua vita.
«Sono nato a Desio».
Il paese di Gianni Locatelli, ex presidente della Rai.
«Sulle cui ginocchia sono cresciuto. Gianni era ritenuto il genio assoluto
di Desio. C?è anche una leggenda: lui come genio del paese era stato scelto
per partecipare a Campanile Sera una trasmissione in cui si scontravano vari
paesi d?Italia. Ci portò alla sconfitta. Quando gli chiesero chi aveva detto
?Non di solo pane vive l?uomo? lui rispose Dante invece che Gesù. Dopodiché
non si fece vedere a Desio per giorni».
La tua formazione?
«Andavo all?oratorio dove si era anticomunisti anche senza bisogno di dirselo.
Ricordo che cantavamo le versioni strampalate di Bandiera Rossa. Tipo ?Bandiera
rossa la trionferà nei cessi pubblici della città?».
La tua giornata?
«Mi alzavo alle cinque per studiare. Il pomeriggio salto in lungo e basket.
Poi scrivevo canzoni d?amore».
Sempre anticomunista?
«Avevo un grandissimo amico, Gianfranco, molto colto, grandi ideali, di sinistra,
Avanguardia Operaia. Io, per simpatia, aprii gli occhi sul Vietnam, sulle
lotte operaie, sui comunisti. Un trauma. Anni di lacerazione. Di qua la certezza
cristiana che non si deve usare mai la violenza, di là l?insegnamento di
leader meravigliosi, Che Guevara, Camilo Torres, Fidel Castro. Imparai le
poesie di Ho Chi Minh. Credo di essere l?unico in Italia a saperle a memoria».
Farina di sinistra. Chi l?avrebbe mai detto.
«Un giorno uno dei nostri tirò fuori delle spranghe di gomma. Disse: ?Sono
le migliori perché non lasciano segni?. Capii che tutto si reggeva sulla
menzogna. Il mio amico di sinistra, Gianfranco, era entrato in Comunione
e Liberazione. Andai con lui. Poi lui diventò il capo del Pci di Desio. Io
rimasi in Cl, era diventata la mia vita».
Per chi votavi?
«Sempre Dc. Adesso Fi. Anche se...».
Anche se?
«Hanno un atteggiamento detestabile. Sono così incapaci di cogliere la realtà
che viene voglia di votare a sinistra».
Da destra è un fuggi fuggi. Guarda Pomicino.
«Pomicino ha un suo disegno politico. Ricostruire la Democrazia Cristiana.
Voltagabbana è Oliviero Diliberto, uno che non riesco a credere che creda
in quello in cui dice di credere».
È uno scioglilingua?
«C?è un abisso tra le sue affermazioni, di sinistra, e la comunicazione del
corpo, non di sinistra. Non come Bertinotti».
Anche la comunicazione del corpo di Bertinotti?
«Bertinotti mi ricorda piuttosto quei grandi rivoluzionari russi che sapevano
bene di dover accettare un modus vivendi borghese, pur di portare il proletariato
alla vittoria».
A destra chi non ti piace?
«Non voglio farmi dei nemici».
Opportunista.
«Ti dico chi mi piace: Sandro Bondi».
Facile.
«È uno che crede profondamente in quello che fa».
Fa adulazione.
«Bondi vuole affermare ciò in cui crede. E le prende, sai? Anche nel partito
subisce attacchi sotterranei violentissimi. Non si deve criticare Bondi per
i suoi atteggiamenti. Bondi è Bondi. Certo, ha questi modi a volte femminili,
tipici del suo carattere, e che sono profondamente sinceri».
Stesso discorso anche per Baget Bozzo?
«Baget Bozzo vuole molto bene a Berlusconi. È convinto che senza Berlusconi
il cristianesimo sarebbe ridotto male. Però sembra sostenere che non ci sia
bisogno di convertirsi per essere cristiani, basta aderire a Forza Italia.
Per Baget Bozzo ho un affetto e una devozione straordinaria. Ma questo tipo
di comunicazione è deleterio».
Il congresso di Forza Italia era una festa non un momento di confronto politico.
«In Forza Italia non c?è né crescita né dialettica. Forza Italia non è un
partito. È inesistente sul territorio e i ras locali sbattono fuori chi non
è della loro idea».
Tu hai cominciato al Sabato...
«Ho cominciato in un giornaletto, Solidarietà, che dava voce alla gente di
Seveso ai tempi della diossina. Da lì nacque il Sabato».
Chi lo finanziava?
«Berlusconi nei primi anni. Me lo ha ricordato anche in Sardegna. In origine
voleva fare un grande settimanale con titolo Il Paese. Ma Montanelli ed altri
del Giornale dissero che era un?impresa fasulla. Allora Berlusconi consentì
che partissimo noi, anche se con pochissime risorse. Fu un?esperienza straordinaria
che durò 15 anni».
Qual è la critica che ti dispiace di più?
«Detesto Belpietro e Gigi Moncalvo quando dicono che ho le mani sudate e
unte. Che ne sanno loro? Gli ho mai dato la manina? Si confondono con i loro
capi».
Non ti è simpatico Moncalvo.
«Ha scritto che sembro un abate sudaticcio. Ma poi mi spiegò che glielo impose
Bossi perché avevo preso in giro il nome dei suoi figli. Quindi lo perdono».
Belpietro ti fece lo scherzo della finta foto della Pivetti nuda. Tu eri
disposto a pagare purché non la pubblicassero?
«Avevo capito benissimo che si trattava di un fotomontaggio. Ma mi sarebbe
dispiaciuto lo stesso se l?avessero pubblicato».
Tu sei stato anche il portavoce della Pivetti. Non erano ruoli incompatibili?
«Anche Feltri lo pensava. Ma poi mi diede il permesso, su insistenze della
Pivetti».
Io voglio la tua opinione.
«Io non ho mai fatto finta di essere un giornalista asettico. Io mi identificavo
con la Pivetti. Ma è durata solo tre mesi. Ci furono colleghi che cercarono
di abbattermi».
E ci riuscirono. Scrissero che avevi detto che il tuo ruolo era quello di
evitare la carolinizzazione della Pivetti. Nel senso di Carolina di Monaco.
«L?avevo detto in privato a Bechis. Lui la disse a Minzolini e Minzolini
la pubblicò fra virgolette. Prima o poi mi vendico. Chissà che paura avranno».
Quando ha visto la Pivetti borchiata in tv che effetto ti ha fatto? Altro
che carolinizzazione.
«Quando l?ho vista con le borchie non l?ho capita ma ne ho riconosciuta l?irrequietezza.
Comunque non considerarmi un pivettologo».
Non sei un pivettologo però ti occupi di nuovo della Pivetti.
«Le darò una mano per il suo programma politico in prima serata su Rete4.
Mi dicono tutti che sono matto. È il mio destino. Ruoto sempre fra tre datori
di lavoro: Feltri, Gad Lerner e la Pivetti».
E la storia che saresti il nuovo Gadda.
«Lo ha detto Testori. Sosteneva che avevo potenzialità di scrittore per essere
il nuovo Gadda. Sbagliava».
Io ricordo il De bello ballico, un libretto di satira.
«Poi un libro con don Giussani, Un caffé in compagnia (ci tengo tanto, su
quello non toccarmi), e uno con Andreotti, Non mi hanno fatto male. Io scrivo
moltissimo. Feltri dice che sono bulimico. Sono un cottimista brianzolo.
L?unica mia pregiudiziale ideologia è la disoccupazione».
Giorgio Bocca ti ha definito il maiale ciellino.
«Non ricordo».
Il Secolo d?Italia ti ha definito paffuto e grassottello.
«Non ricordo proprio».
Quanto pesi?
«Centodieci chili».
Uno dei più grossi giornalisti italiani. Scusa la battuta.
«Ingrasso subito in modo visibile. Comunque Ferrara...».
In compenso Papa Wojtyla ti ha apostrofato con un «malinconico amico mio»...
«Non ricordo nemmeno questo. Una volta mi disse, stringendomi il polso: ?Amico
mio, abbiamo lo stesso compito?».
Accidenti.
«Voleva dire: portare Cristo nel mondo».
Ripeto: accidenti...
«Sono stato trenta volte sul suo aereo con lui. Qualche volta mi ha anche
chiamato nella sua cabina».
Che cosa ti diceva?
«Ricordo lo sguardo di intesa profonda. Mi guardava dritto negli occhi. Anche
con commozione».
Eri veramente suo amico?
«C?è stata una profonda commistione. Il resto sarebbe superbia. So che lui
apprezzava i miei articoli. A me hanno detto addirittura che una volta si
è commosso per i miei resoconti di viaggio».
Gioco della torre. Travaglio o Facci?
«Butto Facci».
Butti Facci?
«Assolutamente. Travaglio è cattivo, falsario, ma intelligente. Facci? Facci...».
Facci? Dai che ce la fai...
«Facci odia il popolo bue. Lo butto, così finalmente saprò perché parla male
di me».
Sei invidioso perché lui è alto e bello e tu sei ciccione?
«Può essere, non lo escludo, lo dico sinceramente. Però non è così alto Facci.
È più basso di me».
Ha scritto che sei il giornalista più zuccheroso del mondo.
«Ma se non faccio altro che beccare querele! Sai che cosa non sopporto in
questi nuovi maestri del pensiero? Che non muovono mai il culo dalla sedia».
Tremaglia o Fisichella?
«Butto Fisichella. Ha sempre quell?aria da professore. Qualsiasi cosa dica
sembra che l?abbia detta Zeus».
Costanzo o Vespa?
«Se salvi uno... l?altro...».
Non ti invita più?
«Non è questo, mi dispiace...».
Sei proprio un opportunista. Baget Bozzo una volta mi disse: «Porta a porta
è la cosa più utile che ci sia per Forza Italia».
«Non ha torto perché Vespa riesce a rendere razionali e commerciabili le
idee altrimenti impolitiche di Forza Italia. Le infiocchetta in modo tale
che si possono mettere in vetrina».
Vespa è il vetrinista di Berlusconi...
«E Berlusconi la sua pin-up».
Basta, ti vedo distrutto.
«Mi sono rovinato la carriera».
LIBERO
31/12/2003
di Renato Farina
La villa di Arcore è circondata di luci e di carabinieri. E' la notte di
Natale. Ci sono sbarramenti sulla strada che non si erano mai visti in questa
Brianza dalle lievi colline. Le rare auto si incrociano veloci: vanno verso
porti sicuri. Le finestre nelle vie intorno sono appannate dal vapore delle
grandi tavolate famigliari. La telefonata era arrivata dieci minuti prima:
?Siamo appena arrivati da Roma. Starà facendo il cenone in famiglia anche
lei.?. Suono il campanello di Silvio Berlusconi.
C'è proprio un cielo fiammeggiante di stelle, come non capitava da un sacco
di Natali, qui in Lombardia. Forse per incoraggiamento. Apprenderò tra poco
che il Natale 2003 sarebbe stato quello a più alto rischio della nostra
storia italiana. Il bersaglio di un possibile attentato era Roma, San Pietro,
il Papa. Ci sarà posto per altro, in questa conversazione: Cossiga che invita
a ?usare il potere? mandando la Guardia di finanza dai nemici, scioperi
selvaggi e Cobas del latte da trattare con le maniere dure, gli imbrogli
"di sinistra" della Parmalat.
Nella notte che in questa parte del mondo chiamiamo "Santa" ho annotato
anzitutto le frasi del premier sul terrorismo incombente: ?Che giornata
terribile è stata questa. Domani i giornali non escono, vero? E allora posso
dirle che la questione vera non è stata il decreto sulle tivù, che peraltro
ha avuto l'immediato consenso del Quirinale, ma la notizia precisa e verificata
di un attentato su Roma nel giorno di Natale?. Come, come? Cos'è, un film?
?Un aereo dirottato sul Vaticano. Un attacco dal cielo, chiaro? La minaccia
del terrorismo è in questo istante altissima. Ho passato la Vigilia a Roma
per fronteggiare la situazione. Ora mi sento tranquillo. Passerà. Lo diceva
Eduardo. Non è fatalismo, ma la coscienza di avere la guardia alta.
Se hanno organizzato questo, non ce la faranno?. La gente non sa, andrà
in piazza. Ed il Papa. ?Nel mese di novembre ero stato informato di un possibile
attentato devastante che avrebbe colpito un certo giorno le metropolitane
di Roma o di Milano. C'era chi insisteva perché fossero chiuse le stazioni.
Mi sono assunto la responsabilità di evitare certe misure.
Avrebbero avuto sulle menti della gente lo stesso effetto di un attentato,
ci avrebbero uccisi di dentro, con conseguenze sociali ed economiche drammatiche.
Il terrorismo vuole farci chiudere. Ho preferito raddoppiare i controlli.
Bisogna convivere con l'incubo, combattendo i violenti ovunque, ma senza
permettere che le precauzioni blocchino la vita. Vede, io credo che sarà
più forte la nostra libertà, il desiderio di vivere, di costruire. Ci deve
essere, c'è, qualcosa di più forte di chi vuol darci guerra e morte il giorno
della nascita di Dio?. Adesso che scrivo si può tirare il fiato: è andata.
La paura resta, ma si attenua.
San Pietro e il Papa, certo. Ma anche le grandi case di Arcore e Macherio
(i paesi della Brianza milanese dove il premier ha lavoro e famiglia) erano
bersagli alternativi e plausibili. Moglie e figli del Cavaliere? All'estero,
probabilmente. E che ci sia di mezzo Al Qaeda è ovvio. Di questo però il
Cavaliere non ha riferito nulla di nulla. Nel silenzio della residenza deserta
lottavano due Berlusconi: il mitico Ganassa, che è la traduzione milanese
del capitan Fracassa, con la tentazione di paragonarsi al Papa e poi di
fare un parallelo tra Villa San Martino e la Basilica di San Pietro come
simboli dell'Occidente; e l'altro, il Berlusconi delle grandi decisioni.
Un uomo che mi ha confessato: ?Quando penso ai 19 caduti a Nassiriya mi
dico: se invece di essere io al governo ci fosse stato, che so, D'Alema,
non li avrebbe mandati in Iraq e sarebbero vivi. Mi sento responsabile.
E' stata una scelta grave, ma quelli che sono morti li sento parte di me,
e lo rifarei?.
Ha vinto questo Berlusconi, e non ha sollevato le cateratte della vanità,
niente, neanche un lamento, ed è una cosa da statista, persino da uomo coraggioso.
Mi rendo conto che, se invece del Berlusca ci fosse uno di sinistra, bisognerebbe
tirare fuori a questo punto una citazione di Shakespeare sulla maestà e
la miseria del potere eccetera. Con Berlusconi, l'operazione per fortuna
è impossibile. Trasferisce subito il suo personaggio, che già si stava vestendo
per una trama epica da teatro oxfordiano, a Cologno Monzese, che peraltro
è dalle nostre parti. Ma come? Rischia di venire giù il mondo, e forse lo
Stige infuocato tracimerà in casa sua. Sta reggendo benissimo il ruolo.
Poi, invece di chinare meditabondo il capo o di sfidare con l'indice l'Oscuro
Nemico, che fa il Berlusca? Mi porta a vedere nel cortiletto, l' albero
di Natale, ?dono di Emilio Fede?, rimpinzato di palle rosse enormi e di
lampadine tipo bengala, con un biglietto grande così e la firma immensa.
Si avvoltola freddoloso in un mantello nero orlato di rosso, e sorride pensando
a Emilio Fede. Ricorda qualcosa dell'infanzia, ecco chi mi ricorda: Zorro!
Ed io mi sento tanto sergente Garcia. Infatti smette di pensare a Osama
e pensa agli orfanelli, sul serio.
Dice: "Tutti i doni arrivati qui li ho quasi tutti fatti distribuire alle
suore che curano i poveri, mi tengo solo quest'albero".
Due anni fa, accompagnava i visitatori a godersi da vicino una mirabolante
riproduzione neanche troppo in miniatura di una cascina lombarda: "E' un
regalo dell'Umberto Bossi", ripeteva mostrando i suoi innumerevoli denti
per la contentezza. Ma questo Natale è diverso. L'illuminazione è fioca
nell'anticamera ormai quasi sgombra di pacchi. C'è un gigantesco panettone
solitario, snudato della sua confezione dorata. Non è come gli altri anni,
quando fino all'ultima ora c'era il via vai di personaggi che si sistemavano
il paltò e andavano via dopo aver ricevuto una promessa. Silvio Berlusconi
agli ospiti metteva fretta ma senza fretta, con gentilezza: c'era il cenone
che lo aspettava. Veronica al telefono diceva: "?Ci siamo tutti". E lui:
"Tra un attimo sono a Macherio".
Ed era bello tirare un po' tardi, farsi desiderare. Sono cinque chilometri,
basta passare il Lambro sul ponte di Canonica e si è lì, nell'altra dimora
ancora più bella, quella dei figli e degli affetti.
Nel salotto numero tot di Villa San Martino ad Arcore c'è un quadro della
scuola di Rubens. Il vecchio Simeone tiene in braccio Gesù Bambino e promette
la salvezza e molti dolori alla Madonna. Sotto, pile di libri azzurrini
con le tesi politiche del padrone di casa. La voce di Berlusconi precede
cordiale il suo corpo avvolto nel mantello: "Vedo che ha preso un caffè,
vuol dire che ha già cenato. Ho meno scrupoli a tenerla un po' con me. Non
mi aspetta nessuno per il cenone, quest'anno non c'è spazio per qualcosa
che non sia il lavoro. Come le ho detto, arrivo ora da Roma". E qui non
ripeto il racconto sul "giorno terribile", sulle minacce "precise, non teoriche"
sull'aereo puntato contro il Vaticano.
Ho raccolto un libro dal tavolino, per non sapere dove mettere le mani.
Sono i "Discorsi per la democrazia", gli interventi in Parlamento di Berlusconi."E'
utile leggerli. Costaterà che ho sempre teso la mano nonostante gli
insulti ed ogni tipo di calunnia".
Non pensa debba un po' cambiare la sua strategia della comunicazione? "Abbiamo
cominciato con questo slogan "La forza di un sogno cambierà l'Italia". Ora
dobbiamo passare alla fase due: "La forza che ha fatto cambiare l'Italia".
E provvederemo a informare sui risultati. I risultati sono tanti, se ha
sentito la mia conferenza stampa mi avrà udito elencarne qualcuno. Ma c'è
un muro che tirano su ogni giorno, ed ogni volta mi tocca buttarlo giù per
comunicare senza che mi deformino".
Non si lamenti, in fondo lei ha il potere.
"Potere io? Scherziamo. Sul Corriere della Sera, Paolo Mieli ha scritto
cose tremende. Per lui io sarei il gatto con gli stivali che ha trasformato
la presidenza del Consiglio in un ufficio dove cura esclusivamente i suoi
affari e le sue sentenze giudiziarie. Ma quale potere, se non riesco a far
sapere le cose più semplici. Qualsiasi ministro del mio governo potrebbe
testimoniare che mai, mai in nessun caso ho curato i miei interessi. Se
un giornalista che rappresenta pienamente l' editore del Corriere scrive
questo vuol dire che sanno bene di potersi permettere tutto".
Cioè?
"Cossiga continua a rimproverarmi. E spinge: "Usa il potere!". Non ricorre
a giri di frasi e mi invita a spedire la Guardia di finanza. Cossiga è persino
dettagliato: 50 Fiamme gialle qui, 50 Fiamme gialle là. Mai e poi mai -
ho risposto. Lui insiste: "Tu hai tutti i poteri contro: il Quirinale, la
Corte costituzionale, la magistratura, i giornalisti, impara a manovrare
le legittime armi del potere". Ma io ho un' altra idea, sono un presidente
del Consiglio liberale, opero sulla base del consenso e percorro vie trasparenti.
La riforma istituzionale permetterà al presidente del consiglio di avere
un'azione più efficace, però questo è un altro discorso".
Presidente, lei sostiene di aver tutti contro, ma non la Chiesa, almeno
nei suoi vertici.
"La scelta fatta dal governo nel campo della fecondazione assistita, mi
è costata molto, ho fatto una battaglia dura, a rischio di creare divisioni,
ma sono convinto di aver agito bene".
Della Chiesa gli piace l'idea di difendere la famiglia, per impedire una
disgregazione nichilista della società. Ricostituire la nozione di bene
comune, minacciata in basso e in alto.
"Questi scioperi selvaggi! Devono finire. Sono danni enormi morali e materiali.
Penso alle proteste nei trasporti metropolitani, ma anche ai Cobas del latte.
Possono avere tutte le ragioni del mondo, ma bloccare l'autostrada nel dispregio
dei diritti altrui e del benessere generale è inaccettabile. Ho chiesto
al ministro dell' Interno Pisanu di intervenire con la forza pubblica: ci
sono le leggi, si facciano rispettare, si arresti chi insiste".
C'è anche un'altra vicenda che non fa dormire molta gente. "La Parmalat?
Quello è un pozzo senza fondo. Oltre alle perdite immediate dei risparmiatori,
ci sono conseguenze gravissime per tutta la nostra economia. L'immagine
dell'Italia ne esce a pezzi. Anche per le responsabilità di chi non s'è
accorto della puzza di bruciato. Chi viene più a investire da noi, in queste
condizioni? Ci sono in scadenza bond di società sane per 180mila miliardi
di lire. Chi li rinnova? Infatti coloro che hanno sottoscritto le obbligazioni
della Parmalat non avevano intenti speculativi, la rendita promessa era
del 5-6 per cento. Niente a che fare con le astronomiche cifre per interessi
che poi l'Argentina non ha pagate".
Negli ambienti a lui vicini avevamo raccolto la notizia di un'antica telefonata
di Tanzi, roba di due o tre anni fa, in cui gli annunciava di volersi buttare
nella new-economy, con Berlusconi che cercava di ricondurlo al più salubre
latte. In Forza Italia poi, dopo l'articolo di Feltri su Libero, è tutto
un conteggio: le aziende berlusconiane hanno sopportato 543 ispezioni della
Guardia di Finanza. La Parmalat zero. Gli riferisco l'osservazione banale
che gira tra molti del suo gruppo. I signori di Parmalat possono inquinare
prove, fuggire all'estero. Possibile non valgano per loro i criteri previsti
dalla legge e che sono stati applicati con incredibile facilità ad esempio
contro manager del gruppo Mediaset ed altri non in odore di sinistra? Ma
di tutto questo Berlusconi non vuol sentir parlare: è il presidente del
Consiglio, e rispetta l' autonomia della magistratura. Inoltre è Natale
ed evocare arresti non gli sta bene. Gli resta in mente un fatto. Naturalmente
ha a che fare con la comunicazione, la sua bestia nera. "L'altra sera ho
visto Ballarò su Rai 3. C'era Gerardo D'Ambrosio, già procuratore della
Repubblica a Milano. E a proposito del crac Parmalat ha dato colpa alle
leggi sul falso in bilancio approvate in questa legislatura. Quella legge
non c'entra, ovviamente. Oltretutto dare la colpa a me per vicende a quanto
pare nate molte anni prima, dimostra tante cose".
Quali? Indovinatele voi perché è tardi. Marinella Brambilla, la segretaria,
lo chiama, l'agenda preme anche la Vigilia, e forse c'è persino molta solitudine.
"Natale lo faccio in famiglia, con mia mamma", dice avvolto nel mantello
di Zorro sotto le stelle della Brianza.
(2)
L'Unità
26 e 28 agosto 2003
Brevi amori a Villa La Certosa
Marco Travaglio
Prima puntata
E' stato finalmente liberato e restituito all'affetto dei suoi cari Renato
Farina, l'inviato di Libero sequestrato da Silvio Berlusconi allo stadio
di San Siro e tenuto vilmente in ostaggio per ben sei giorni in Sardegna,
fra i cactus e i menhir di Villa La Certosa, con trattamenti disumani vietati
dalla convenzione di Ginevra. Per la vittima si preannuncia però un lungo
periodo di riabilitazione, a causa di una nuova forma di sindrome di Stoccolma
che l'ha fatto perdutamente innamorare del rapitore: gli specialisti la chiamano
Lingua della Costa Smeralda, a causa di un antipatico effetto collaterale:
l'ipersalivazione. Le corrispondenze dalla reggia del Cavaliere, firmate
da questo nuovo esemplare del giornalismo "embedded", vagamente ispirate
a Mario Appelius e pubblicate da Libero il 19 e il 24 agosto, parlano da
sole.
Tre cuori, una capanna. "Gli chiedo se posso passare da lui per un saluto.
"Buona idea, organizzo". Ha organizzato. "Venga allo stadio per Milan-Juve.
Poi viene con me in Sardegna". Ho la poltroncina dietro la sua. Faccio coppia
con Fedele Confalonieri. Ci saremo soltanto il presidente di Fininvest ed
io, ospiti a Villa Certosa". Ecco: serviva giusto un cameriere.
La salita al calvario. "Si salta la cena? Si parte con l'aereo di Stato dopo
mezzanotte? Si addormenta placido, con un dolore al costato. Gli offro un
antidolorifico. "No, grazie, i dolori preferisco sopportarli. So che morirò
lavorando. Un ictus, un infarto?". Confalonieri annuisce. Lo contraddico:
ideale è un mese di preparazione alla morte". Serviva pure un infermiere
e un portafortuna.
Asterix e Obelix. "Si sale su uno Shuttle con il motore elettrico. E' lui
al volante. Mostra il parco: sono 70 ettari. "Questo territorio l'ho sottratto
agli incendi estirpando i rovi? Questa sarà l'agorà". Ora è brullo, ma già
una decina di grandi pietre puntate verso il cielo creano un anfiteatro di
misticismo ancestrale. "Sono menhir, alti 8 metri, li ho acquistati da vari
proprietari e li ho disposti qui"". Tanto poi arriva il condono edilizio.
Cinegiornale Luce. "Racconta (Lui, ndr) come preveda una sorta di teatro,
con tre piazze che si sovrappongono e si distendono dinanzi a questi ulivi?
C'è qualcosa di pionieristico in tutto questo. L'uomo che doma la selvatichezza
della natura, magari anche un po' troppo, ma Berlusconi è così. Gli chiedo
se ci sono paragoni con qualche parco. Non ce ne sono - dice". Torna finalmente
a splendere il sole sui colli fatali di Roma.
Il Presidente del Cactus. "Una visione confonde persino Confalonieri. "E'
il museo delle piante grasse e dei cactus". C'è una piscina intorno, Berlusconi
premendo un bottone illumina soffusamente una foresta incredibile di gonfi
rigogli vegetali tra rossastre pietre laviche e bouganvillee addormentate.
Sono duemila esemplari di cinquecento specie. "Accarezzi quella pianta sudafricana".
Il dito va giù come su una levigatissima pelle eburnea, un burro perlaceo".
Sono momenti delicati: fu così che l'ingenuo Farina, fra il lusco e il brusco,
scoprì il sesso.
Il Presidente Creatore. "Perché ha deciso di impegnarsi in questo immenso
cantiere? Non può farne a meno. "Volevo dimostrare a me stesso che non sono
del tutto rincoglionito dal governo. Quando non ho intralci, realizzo, umanizzo
la realtà al meglio, valorizzo le energie italiane". La parola d'ordine è
una sola, perentoria e imperativa per tutti: realizzare, umanizzare, valorizzare.
Il Presidente Usignolo. "La vista è impareggiabile e stavolta il cavaliere,
vestito di bianco sembra un beduino appena sceso da cavallo. Si abbandona
al canto che intona il suo amico Mariano Apicella. Berlusca mette giù i testi
("in due minuti"), l'altro li palpa, li vellica, li musica". Ecco: anche
palpare, vellicare, musicare.
Silvio Manidiforbice. "Il presidente operaio lavora. Persino la passeggiata
la fa con le cesoie in mano. Il telefono nella sinistra, e la forbiciona
nella destra. Un passo pota qua, il successivo telefona là. Controlla il
ghiaietto, le pale del ventilatore sotto un gazebo azionate da un telecomando,
le cinque piscine per la talassoterapia. Visto sia siamo gente colta, cito
Rimbaud: che ci faccio qui?>. Citando Montanelli, invece, si potrebbe dire:
gente colta, ma mai sul fatto.
Il Presidente Pallonaro. ""Mi tocca sistemare anche il calcio", mi dice.
"Ho telefonato a Ignazio La Russa. E' svelto. Ha capito tutto. Telefonerà
al presidente del Catania Gaucci. In serie B rimarrà il Catania. Sarà un
campionato a 21 squadre. E anche Genoa e Venezia non dovranno lamentarsi"".
Parole profetiche. Alla fine la serie B sarà a 24 squadre e si sono lamentati
tutti. Ma l'importante è che La Russa abbia telefonato a Gaucci. E' svelto.
Ha capito tutto.
Il Presidente Fecondatore. "Qualcuno si è arrampicato sugli scogli dinanzi
alla tenuta. Compare lui in maglietta blu e calzoncini bianchi sul davanzale
a picco sul golfo di Marinella. Le signore si coprono il seno. Lui saluta
con la mano". Fanno bene, le signore, a coprirsi. L'ultima che non lo fece,
appena Lui la salutò con la mano dal davanzale a picco, rimase incinta.
(continua nella prossima discussione...)