OBLO' -Notizie e pensieri proibiti La rassegna stampa di INES TABUSSO

CSF, FARINA, TRAVAGLIO

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    INES TABUSSO
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    00 20/08/2005 23:57

    Claudio Sabelli Fioretti intervista Renato Farina
    Corsera Magazine
    18 agosto 2005


    È tutta la vita che vive all?ombra di Vittorio Feltri, il direttore di Libero.
    Eppure Renato Farina è un bravo giornalista, è un prezzemolino in televisione,
    è famosissimo in ambienti cattolici, amico di persone importanti come Giulio
    Andreotti dopo esserlo stato di Craxi e di don Giussani. Aveva una certa
    consuetudine perfino con papa Wojtyla e usa passare la sera di Natale con
    Silvio Berlusconi. Ma non ha mai fatto il grande salto.
    Renato, che cosa è che ti frena? Forse la tua carriera sarebbe stata più
    brillante se fossi stato più coraggioso.
    «Più coraggioso che cosa vuol dire?».
    Vuol dire liberarsi una buona volta di Feltri.
    «Le scelte importanti della mia vita sono sempre state affettive. D?altra
    parte non mi vuole nessuno. Fingono tutti di volermi. Verresti? Faresti?
    Ma non si concretizza mai nulla».
    Ma tu lasceresti Feltri di fronte ad una proposta allettante?
    «Chiederei consiglio a Feltri».
    Lasceresti Feltri se ti offrissero di andare a dirigere il Giornale?
    «Se Feltri mi dicesse di sì...».
    Edipo puro. Litighi mai con Feltri?
    «Qualche volta, ma il giorno dopo siamo più amici di prima. Generalmente
    litighiamo su Dio. Lui sostiene che Dio non c?è. E se c?è, è cattivo».
    Insomma, è ateo.
    «Una volta per offendermi mi disse delle cose così atroci che io non ce la
    feci più: ?Guarda Vittorio: ti assicuro che Dio c?è. E tu gli stai pure sui
    coglioni. Lo so per certo?. Abbiamo litigato ferocemente anche sull?immortalità
    dell?anima. Lui sostiene che la Bibbia non ne parli. Adesso litighiamo sugli
    embrioni. Ma ho imparato a sopportarlo. E anche lui sopporta me».
    Litigate anche su Berlusconi?
    «Su Berlusconi ci dividiamo i compiti. Feltri a volte va giù pesante».
    Tu invece?
    «Il giorno dopo corro a ricucire quello che Feltri ha strappato. Feltri dice
    che soffro di ?inchinite? nei confronti di Berlusconi».
    Hai scritto due pezzi storici su Berlusconi, quello della notte di Natale
    (1)
    e quello della visita nella villa in Sardegna.
    «Quando Berlusconi lesse quello di Natale quasi si suicidava».
    E smentì l?intervista.
    «Smentì il virgolettato».
    Mica poco.
    «Disse: non è farina del mio sacco. È farina del sacco di Farina. Fu una
    formula concordata con Feltri. Perché lui sa bene che mi aveva detto tutte
    quelle cose».
    Smentito come un comunista qualsiasi.
    «Gianni Letta mi ha detto che Berlusconi era contento. Ma fu costretto a
    smentire da Letta stesso e da Bonaiuti che erano veramente furibondi».
    Racconta quella notte di Natale, tu e Silvio da soli, ad Arcore.
    «Premetto una cosa: io voglio bene a Berlusconi. C?è un rapporto di amicizia.
    C?è una certa confidenza. Quel Natale di due anni fa lui era appena tornato
    da Roma e mi aveva chiamato verso le otto di sera per dirmi se volevo passare
    a trovarlo».
    La notte di Natale il primo ministro telefona a te...
    «Tutti i Natali ci vediamo per farci gli auguri. E io gli porto un microregalo.
    Quella volta gli portai un salame della Brianza lungo un metro. E lui mi
    regalò un Cartier».
    Ci hai guadagnato.
    «Lui mi disse: ?Domani i giornali non escono, vero? Allora posso raccontarle?.
    E mi raccontò di un?emergenza terrorismo in Vaticano».
    E tu l?hai scritto.
    «Due giorni dopo. Pensavo veramente che lui lo volesse».
    Risultato?
    «Un pandemonio. Berlusconi telefonò a Feltri piangendo. ?Renato mi ha tradito!?».
    Fine dell?amicizia.
    «No. Solo sospensione dei rapporti personali per sei mesi».
    E la visita in Sardegna?
    «Berlusconi mi aveva telefonato per farmi gli auguri a Ferragosto».
    Non fate altro che scambiarvi auguri.
    «Lui mi disse: ?Andiamo qualche giorno in Sardegna?».
    Ti sgridò perché non avevi portato calze da jogging.
    «E anche perché mi ero profumato. Probabilmente era anche un profumo da donna.
    Berlusconi è veramente eccezionale. La sua forza è che ti fa sentire pari
    a lui. Non è né arrogante né finto umile».
    Alla fine hai raccontato il tuo week end con il Cavaliere e Travaglio ha
    scritto due pezzi accusandoti di piaggeria (2).
    «Quando l?ho letto ho provato gioia. Mi tranquillizzava per i miei rapporti
    con Berlusconi che diceva che non l?avevo trattato bene».
    Ti hanno definito giornalista embedded.
    «Gian Antonio Stella e Gad Lerner mi hanno detto che quei due pezzi erano
    perfetti, non c?era nessuna ?inchinite?. E Berlusconi è più favorevole alla
    versione di Stella e di Gad Lerner, se la cosa ti può consolare».
    Mi consola. Ma sei embedded o non sei embedded?
    «Io non sparo dove vuole Berlusconi».
    Racconta la tua vita.
    «Sono nato a Desio».
    Il paese di Gianni Locatelli, ex presidente della Rai.
    «Sulle cui ginocchia sono cresciuto. Gianni era ritenuto il genio assoluto
    di Desio. C?è anche una leggenda: lui come genio del paese era stato scelto
    per partecipare a Campanile Sera una trasmissione in cui si scontravano vari
    paesi d?Italia. Ci portò alla sconfitta. Quando gli chiesero chi aveva detto
    ?Non di solo pane vive l?uomo? lui rispose Dante invece che Gesù. Dopodiché
    non si fece vedere a Desio per giorni».
    La tua formazione?
    «Andavo all?oratorio dove si era anticomunisti anche senza bisogno di dirselo.
    Ricordo che cantavamo le versioni strampalate di Bandiera Rossa. Tipo ?Bandiera
    rossa la trionferà nei cessi pubblici della città?».
    La tua giornata?
    «Mi alzavo alle cinque per studiare. Il pomeriggio salto in lungo e basket.
    Poi scrivevo canzoni d?amore».
    Sempre anticomunista?
    «Avevo un grandissimo amico, Gianfranco, molto colto, grandi ideali, di sinistra,
    Avanguardia Operaia. Io, per simpatia, aprii gli occhi sul Vietnam, sulle
    lotte operaie, sui comunisti. Un trauma. Anni di lacerazione. Di qua la certezza
    cristiana che non si deve usare mai la violenza, di là l?insegnamento di
    leader meravigliosi, Che Guevara, Camilo Torres, Fidel Castro. Imparai le
    poesie di Ho Chi Minh. Credo di essere l?unico in Italia a saperle a memoria».
    Farina di sinistra. Chi l?avrebbe mai detto.
    «Un giorno uno dei nostri tirò fuori delle spranghe di gomma. Disse: ?Sono
    le migliori perché non lasciano segni?. Capii che tutto si reggeva sulla
    menzogna. Il mio amico di sinistra, Gianfranco, era entrato in Comunione
    e Liberazione. Andai con lui. Poi lui diventò il capo del Pci di Desio. Io
    rimasi in Cl, era diventata la mia vita».
    Per chi votavi?
    «Sempre Dc. Adesso Fi. Anche se...».
    Anche se?
    «Hanno un atteggiamento detestabile. Sono così incapaci di cogliere la realtà
    che viene voglia di votare a sinistra».
    Da destra è un fuggi fuggi. Guarda Pomicino.
    «Pomicino ha un suo disegno politico. Ricostruire la Democrazia Cristiana.
    Voltagabbana è Oliviero Diliberto, uno che non riesco a credere che creda
    in quello in cui dice di credere».
    È uno scioglilingua?
    «C?è un abisso tra le sue affermazioni, di sinistra, e la comunicazione del
    corpo, non di sinistra. Non come Bertinotti».
    Anche la comunicazione del corpo di Bertinotti?
    «Bertinotti mi ricorda piuttosto quei grandi rivoluzionari russi che sapevano
    bene di dover accettare un modus vivendi borghese, pur di portare il proletariato
    alla vittoria».
    A destra chi non ti piace?
    «Non voglio farmi dei nemici».
    Opportunista.
    «Ti dico chi mi piace: Sandro Bondi».
    Facile.
    «È uno che crede profondamente in quello che fa».
    Fa adulazione.
    «Bondi vuole affermare ciò in cui crede. E le prende, sai? Anche nel partito
    subisce attacchi sotterranei violentissimi. Non si deve criticare Bondi per
    i suoi atteggiamenti. Bondi è Bondi. Certo, ha questi modi a volte femminili,
    tipici del suo carattere, e che sono profondamente sinceri».
    Stesso discorso anche per Baget Bozzo?
    «Baget Bozzo vuole molto bene a Berlusconi. È convinto che senza Berlusconi
    il cristianesimo sarebbe ridotto male. Però sembra sostenere che non ci sia
    bisogno di convertirsi per essere cristiani, basta aderire a Forza Italia.
    Per Baget Bozzo ho un affetto e una devozione straordinaria. Ma questo tipo
    di comunicazione è deleterio».
    Il congresso di Forza Italia era una festa non un momento di confronto politico.
    «In Forza Italia non c?è né crescita né dialettica. Forza Italia non è un
    partito. È inesistente sul territorio e i ras locali sbattono fuori chi non
    è della loro idea».
    Tu hai cominciato al Sabato...
    «Ho cominciato in un giornaletto, Solidarietà, che dava voce alla gente di
    Seveso ai tempi della diossina. Da lì nacque il Sabato».
    Chi lo finanziava?
    «Berlusconi nei primi anni. Me lo ha ricordato anche in Sardegna. In origine
    voleva fare un grande settimanale con titolo Il Paese. Ma Montanelli ed altri
    del Giornale dissero che era un?impresa fasulla. Allora Berlusconi consentì
    che partissimo noi, anche se con pochissime risorse. Fu un?esperienza straordinaria
    che durò 15 anni».
    Qual è la critica che ti dispiace di più?
    «Detesto Belpietro e Gigi Moncalvo quando dicono che ho le mani sudate e
    unte. Che ne sanno loro? Gli ho mai dato la manina? Si confondono con i loro
    capi».
    Non ti è simpatico Moncalvo.
    «Ha scritto che sembro un abate sudaticcio. Ma poi mi spiegò che glielo impose
    Bossi perché avevo preso in giro il nome dei suoi figli. Quindi lo perdono».
    Belpietro ti fece lo scherzo della finta foto della Pivetti nuda. Tu eri
    disposto a pagare purché non la pubblicassero?
    «Avevo capito benissimo che si trattava di un fotomontaggio. Ma mi sarebbe
    dispiaciuto lo stesso se l?avessero pubblicato».
    Tu sei stato anche il portavoce della Pivetti. Non erano ruoli incompatibili?
    «Anche Feltri lo pensava. Ma poi mi diede il permesso, su insistenze della
    Pivetti».
    Io voglio la tua opinione.
    «Io non ho mai fatto finta di essere un giornalista asettico. Io mi identificavo
    con la Pivetti. Ma è durata solo tre mesi. Ci furono colleghi che cercarono
    di abbattermi».
    E ci riuscirono. Scrissero che avevi detto che il tuo ruolo era quello di
    evitare la carolinizzazione della Pivetti. Nel senso di Carolina di Monaco.
    «L?avevo detto in privato a Bechis. Lui la disse a Minzolini e Minzolini
    la pubblicò fra virgolette. Prima o poi mi vendico. Chissà che paura avranno».
    Quando ha visto la Pivetti borchiata in tv che effetto ti ha fatto? Altro
    che carolinizzazione.
    «Quando l?ho vista con le borchie non l?ho capita ma ne ho riconosciuta l?irrequietezza.
    Comunque non considerarmi un pivettologo».
    Non sei un pivettologo però ti occupi di nuovo della Pivetti.
    «Le darò una mano per il suo programma politico in prima serata su Rete4.
    Mi dicono tutti che sono matto. È il mio destino. Ruoto sempre fra tre datori
    di lavoro: Feltri, Gad Lerner e la Pivetti».
    E la storia che saresti il nuovo Gadda.
    «Lo ha detto Testori. Sosteneva che avevo potenzialità di scrittore per essere
    il nuovo Gadda. Sbagliava».
    Io ricordo il De bello ballico, un libretto di satira.
    «Poi un libro con don Giussani, Un caffé in compagnia (ci tengo tanto, su
    quello non toccarmi), e uno con Andreotti, Non mi hanno fatto male. Io scrivo
    moltissimo. Feltri dice che sono bulimico. Sono un cottimista brianzolo.
    L?unica mia pregiudiziale ideologia è la disoccupazione».
    Giorgio Bocca ti ha definito il maiale ciellino.
    «Non ricordo».
    Il Secolo d?Italia ti ha definito paffuto e grassottello.
    «Non ricordo proprio».
    Quanto pesi?
    «Centodieci chili».
    Uno dei più grossi giornalisti italiani. Scusa la battuta.
    «Ingrasso subito in modo visibile. Comunque Ferrara...».
    In compenso Papa Wojtyla ti ha apostrofato con un «malinconico amico mio»...
    «Non ricordo nemmeno questo. Una volta mi disse, stringendomi il polso: ?Amico
    mio, abbiamo lo stesso compito?».
    Accidenti.
    «Voleva dire: portare Cristo nel mondo».
    Ripeto: accidenti...
    «Sono stato trenta volte sul suo aereo con lui. Qualche volta mi ha anche
    chiamato nella sua cabina».
    Che cosa ti diceva?
    «Ricordo lo sguardo di intesa profonda. Mi guardava dritto negli occhi. Anche
    con commozione».
    Eri veramente suo amico?
    «C?è stata una profonda commistione. Il resto sarebbe superbia. So che lui
    apprezzava i miei articoli. A me hanno detto addirittura che una volta si
    è commosso per i miei resoconti di viaggio».
    Gioco della torre. Travaglio o Facci?
    «Butto Facci».
    Butti Facci?
    «Assolutamente. Travaglio è cattivo, falsario, ma intelligente. Facci? Facci...».
    Facci? Dai che ce la fai...
    «Facci odia il popolo bue. Lo butto, così finalmente saprò perché parla male
    di me».
    Sei invidioso perché lui è alto e bello e tu sei ciccione?
    «Può essere, non lo escludo, lo dico sinceramente. Però non è così alto Facci.
    È più basso di me».
    Ha scritto che sei il giornalista più zuccheroso del mondo.
    «Ma se non faccio altro che beccare querele! Sai che cosa non sopporto in
    questi nuovi maestri del pensiero? Che non muovono mai il culo dalla sedia».
    Tremaglia o Fisichella?
    «Butto Fisichella. Ha sempre quell?aria da professore. Qualsiasi cosa dica
    sembra che l?abbia detta Zeus».
    Costanzo o Vespa?
    «Se salvi uno... l?altro...».
    Non ti invita più?
    «Non è questo, mi dispiace...».
    Sei proprio un opportunista. Baget Bozzo una volta mi disse: «Porta a porta
    è la cosa più utile che ci sia per Forza Italia».
    «Non ha torto perché Vespa riesce a rendere razionali e commerciabili le
    idee altrimenti impolitiche di Forza Italia. Le infiocchetta in modo tale
    che si possono mettere in vetrina».
    Vespa è il vetrinista di Berlusconi...
    «E Berlusconi la sua pin-up».
    Basta, ti vedo distrutto.
    «Mi sono rovinato la carriera».





    LIBERO
    31/12/2003
    di Renato Farina

    La villa di Arcore è circondata di luci e di carabinieri. E' la notte di
    Natale. Ci sono sbarramenti sulla strada che non si erano mai visti in questa
    Brianza dalle lievi colline. Le rare auto si incrociano veloci: vanno verso
    porti sicuri. Le finestre nelle vie intorno sono appannate dal vapore delle
    grandi tavolate famigliari. La telefonata era arrivata dieci minuti prima:
    ?Siamo appena arrivati da Roma. Starà facendo il cenone in famiglia anche
    lei.?. Suono il campanello di Silvio Berlusconi.

    C'è proprio un cielo fiammeggiante di stelle, come non capitava da un sacco
    di Natali, qui in Lombardia. Forse per incoraggiamento. Apprenderò tra poco
    che il Natale 2003 sarebbe stato quello a più alto rischio della nostra
    storia italiana. Il bersaglio di un possibile attentato era Roma, San Pietro,
    il Papa. Ci sarà posto per altro, in questa conversazione: Cossiga che invita
    a ?usare il potere? mandando la Guardia di finanza dai nemici, scioperi
    selvaggi e Cobas del latte da trattare con le maniere dure, gli imbrogli
    "di sinistra" della Parmalat.

    Nella notte che in questa parte del mondo chiamiamo "Santa" ho annotato
    anzitutto le frasi del premier sul terrorismo incombente: ?Che giornata
    terribile è stata questa. Domani i giornali non escono, vero? E allora posso
    dirle che la questione vera non è stata il decreto sulle tivù, che peraltro
    ha avuto l'immediato consenso del Quirinale, ma la notizia precisa e verificata
    di un attentato su Roma nel giorno di Natale?. Come, come? Cos'è, un film?
    ?Un aereo dirottato sul Vaticano. Un attacco dal cielo, chiaro? La minaccia
    del terrorismo è in questo istante altissima. Ho passato la Vigilia a Roma
    per fronteggiare la situazione. Ora mi sento tranquillo. Passerà. Lo diceva
    Eduardo. Non è fatalismo, ma la coscienza di avere la guardia alta.
    Se hanno organizzato questo, non ce la faranno?. La gente non sa, andrà
    in piazza. Ed il Papa. ?Nel mese di novembre ero stato informato di un possibile
    attentato devastante che avrebbe colpito un certo giorno le metropolitane
    di Roma o di Milano. C'era chi insisteva perché fossero chiuse le stazioni.
    Mi sono assunto la responsabilità di evitare certe misure.
    Avrebbero avuto sulle menti della gente lo stesso effetto di un attentato,
    ci avrebbero uccisi di dentro, con conseguenze sociali ed economiche drammatiche.
    Il terrorismo vuole farci chiudere. Ho preferito raddoppiare i controlli.
    Bisogna convivere con l'incubo, combattendo i violenti ovunque, ma senza
    permettere che le precauzioni blocchino la vita. Vede, io credo che sarà
    più forte la nostra libertà, il desiderio di vivere, di costruire. Ci deve
    essere, c'è, qualcosa di più forte di chi vuol darci guerra e morte il giorno
    della nascita di Dio?. Adesso che scrivo si può tirare il fiato: è andata.
    La paura resta, ma si attenua.
    San Pietro e il Papa, certo. Ma anche le grandi case di Arcore e Macherio
    (i paesi della Brianza milanese dove il premier ha lavoro e famiglia) erano
    bersagli alternativi e plausibili. Moglie e figli del Cavaliere? All'estero,
    probabilmente. E che ci sia di mezzo Al Qaeda è ovvio. Di questo però il
    Cavaliere non ha riferito nulla di nulla. Nel silenzio della residenza deserta
    lottavano due Berlusconi: il mitico Ganassa, che è la traduzione milanese
    del capitan Fracassa, con la tentazione di paragonarsi al Papa e poi di
    fare un parallelo tra Villa San Martino e la Basilica di San Pietro come
    simboli dell'Occidente; e l'altro, il Berlusconi delle grandi decisioni.
    Un uomo che mi ha confessato: ?Quando penso ai 19 caduti a Nassiriya mi
    dico: se invece di essere io al governo ci fosse stato, che so, D'Alema,
    non li avrebbe mandati in Iraq e sarebbero vivi. Mi sento responsabile.
    E' stata una scelta grave, ma quelli che sono morti li sento parte di me,
    e lo rifarei?.
    Ha vinto questo Berlusconi, e non ha sollevato le cateratte della vanità,
    niente, neanche un lamento, ed è una cosa da statista, persino da uomo coraggioso.
    Mi rendo conto che, se invece del Berlusca ci fosse uno di sinistra, bisognerebbe
    tirare fuori a questo punto una citazione di Shakespeare sulla maestà e
    la miseria del potere eccetera. Con Berlusconi, l'operazione per fortuna
    è impossibile. Trasferisce subito il suo personaggio, che già si stava vestendo
    per una trama epica da teatro oxfordiano, a Cologno Monzese, che peraltro
    è dalle nostre parti. Ma come? Rischia di venire giù il mondo, e forse lo
    Stige infuocato tracimerà in casa sua. Sta reggendo benissimo il ruolo.
    Poi, invece di chinare meditabondo il capo o di sfidare con l'indice l'Oscuro
    Nemico, che fa il Berlusca? Mi porta a vedere nel cortiletto, l' albero
    di Natale, ?dono di Emilio Fede?, rimpinzato di palle rosse enormi e di
    lampadine tipo bengala, con un biglietto grande così e la firma immensa.
    Si avvoltola freddoloso in un mantello nero orlato di rosso, e sorride pensando
    a Emilio Fede. Ricorda qualcosa dell'infanzia, ecco chi mi ricorda: Zorro!
    Ed io mi sento tanto sergente Garcia. Infatti smette di pensare a Osama
    e pensa agli orfanelli, sul serio.
    Dice: "Tutti i doni arrivati qui li ho quasi tutti fatti distribuire alle
    suore che curano i poveri, mi tengo solo quest'albero".
    Due anni fa, accompagnava i visitatori a godersi da vicino una mirabolante
    riproduzione neanche troppo in miniatura di una cascina lombarda: "E' un
    regalo dell'Umberto Bossi", ripeteva mostrando i suoi innumerevoli denti
    per la contentezza. Ma questo Natale è diverso. L'illuminazione è fioca
    nell'anticamera ormai quasi sgombra di pacchi. C'è un gigantesco panettone
    solitario, snudato della sua confezione dorata. Non è come gli altri anni,
    quando fino all'ultima ora c'era il via vai di personaggi che si sistemavano
    il paltò e andavano via dopo aver ricevuto una promessa. Silvio Berlusconi
    agli ospiti metteva fretta ma senza fretta, con gentilezza: c'era il cenone
    che lo aspettava. Veronica al telefono diceva: "?Ci siamo tutti". E lui:
    "Tra un attimo sono a Macherio".
    Ed era bello tirare un po' tardi, farsi desiderare. Sono cinque chilometri,
    basta passare il Lambro sul ponte di Canonica e si è lì, nell'altra dimora
    ancora più bella, quella dei figli e degli affetti.
    Nel salotto numero tot di Villa San Martino ad Arcore c'è un quadro della
    scuola di Rubens. Il vecchio Simeone tiene in braccio Gesù Bambino e promette
    la salvezza e molti dolori alla Madonna. Sotto, pile di libri azzurrini
    con le tesi politiche del padrone di casa. La voce di Berlusconi precede
    cordiale il suo corpo avvolto nel mantello: "Vedo che ha preso un caffè,
    vuol dire che ha già cenato. Ho meno scrupoli a tenerla un po' con me. Non
    mi aspetta nessuno per il cenone, quest'anno non c'è spazio per qualcosa
    che non sia il lavoro. Come le ho detto, arrivo ora da Roma". E qui non
    ripeto il racconto sul "giorno terribile", sulle minacce "precise, non teoriche"
    sull'aereo puntato contro il Vaticano.
    Ho raccolto un libro dal tavolino, per non sapere dove mettere le mani.
    Sono i "Discorsi per la democrazia", gli interventi in Parlamento di Berlusconi."E'
    utile leggerli. Costaterà che ho sempre teso la mano nonostante gli
    insulti ed ogni tipo di calunnia".
    Non pensa debba un po' cambiare la sua strategia della comunicazione? "Abbiamo
    cominciato con questo slogan "La forza di un sogno cambierà l'Italia". Ora
    dobbiamo passare alla fase due: "La forza che ha fatto cambiare l'Italia".
    E provvederemo a informare sui risultati. I risultati sono tanti, se ha
    sentito la mia conferenza stampa mi avrà udito elencarne qualcuno. Ma c'è
    un muro che tirano su ogni giorno, ed ogni volta mi tocca buttarlo giù per
    comunicare senza che mi deformino".
    Non si lamenti, in fondo lei ha il potere.
    "Potere io? Scherziamo. Sul Corriere della Sera, Paolo Mieli ha scritto
    cose tremende. Per lui io sarei il gatto con gli stivali che ha trasformato
    la presidenza del Consiglio in un ufficio dove cura esclusivamente i suoi
    affari e le sue sentenze giudiziarie. Ma quale potere, se non riesco a far
    sapere le cose più semplici. Qualsiasi ministro del mio governo potrebbe
    testimoniare che mai, mai in nessun caso ho curato i miei interessi. Se
    un giornalista che rappresenta pienamente l' editore del Corriere scrive
    questo vuol dire che sanno bene di potersi permettere tutto".
    Cioè?
    "Cossiga continua a rimproverarmi. E spinge: "Usa il potere!". Non ricorre
    a giri di frasi e mi invita a spedire la Guardia di finanza. Cossiga è persino
    dettagliato: 50 Fiamme gialle qui, 50 Fiamme gialle là. Mai e poi mai -
    ho risposto. Lui insiste: "Tu hai tutti i poteri contro: il Quirinale, la
    Corte costituzionale, la magistratura, i giornalisti, impara a manovrare
    le legittime armi del potere". Ma io ho un' altra idea, sono un presidente
    del Consiglio liberale, opero sulla base del consenso e percorro vie trasparenti.
    La riforma istituzionale permetterà al presidente del consiglio di avere
    un'azione più efficace, però questo è un altro discorso".
    Presidente, lei sostiene di aver tutti contro, ma non la Chiesa, almeno
    nei suoi vertici.
    "La scelta fatta dal governo nel campo della fecondazione assistita, mi
    è costata molto, ho fatto una battaglia dura, a rischio di creare divisioni,
    ma sono convinto di aver agito bene".
    Della Chiesa gli piace l'idea di difendere la famiglia, per impedire una
    disgregazione nichilista della società. Ricostituire la nozione di bene
    comune, minacciata in basso e in alto.
    "Questi scioperi selvaggi! Devono finire. Sono danni enormi morali e materiali.
    Penso alle proteste nei trasporti metropolitani, ma anche ai Cobas del latte.
    Possono avere tutte le ragioni del mondo, ma bloccare l'autostrada nel dispregio
    dei diritti altrui e del benessere generale è inaccettabile. Ho chiesto
    al ministro dell' Interno Pisanu di intervenire con la forza pubblica: ci
    sono le leggi, si facciano rispettare, si arresti chi insiste".
    C'è anche un'altra vicenda che non fa dormire molta gente. "La Parmalat?
    Quello è un pozzo senza fondo. Oltre alle perdite immediate dei risparmiatori,
    ci sono conseguenze gravissime per tutta la nostra economia. L'immagine
    dell'Italia ne esce a pezzi. Anche per le responsabilità di chi non s'è
    accorto della puzza di bruciato. Chi viene più a investire da noi, in queste
    condizioni? Ci sono in scadenza bond di società sane per 180mila miliardi
    di lire. Chi li rinnova? Infatti coloro che hanno sottoscritto le obbligazioni
    della Parmalat non avevano intenti speculativi, la rendita promessa era
    del 5-6 per cento. Niente a che fare con le astronomiche cifre per interessi
    che poi l'Argentina non ha pagate".
    Negli ambienti a lui vicini avevamo raccolto la notizia di un'antica telefonata
    di Tanzi, roba di due o tre anni fa, in cui gli annunciava di volersi buttare
    nella new-economy, con Berlusconi che cercava di ricondurlo al più salubre
    latte. In Forza Italia poi, dopo l'articolo di Feltri su Libero, è tutto
    un conteggio: le aziende berlusconiane hanno sopportato 543 ispezioni della
    Guardia di Finanza. La Parmalat zero. Gli riferisco l'osservazione banale
    che gira tra molti del suo gruppo. I signori di Parmalat possono inquinare
    prove, fuggire all'estero. Possibile non valgano per loro i criteri previsti
    dalla legge e che sono stati applicati con incredibile facilità ad esempio
    contro manager del gruppo Mediaset ed altri non in odore di sinistra? Ma
    di tutto questo Berlusconi non vuol sentir parlare: è il presidente del
    Consiglio, e rispetta l' autonomia della magistratura. Inoltre è Natale
    ed evocare arresti non gli sta bene. Gli resta in mente un fatto. Naturalmente
    ha a che fare con la comunicazione, la sua bestia nera. "L'altra sera ho
    visto Ballarò su Rai 3. C'era Gerardo D'Ambrosio, già procuratore della
    Repubblica a Milano. E a proposito del crac Parmalat ha dato colpa alle
    leggi sul falso in bilancio approvate in questa legislatura. Quella legge
    non c'entra, ovviamente. Oltretutto dare la colpa a me per vicende a quanto
    pare nate molte anni prima, dimostra tante cose".
    Quali? Indovinatele voi perché è tardi. Marinella Brambilla, la segretaria,
    lo chiama, l'agenda preme anche la Vigilia, e forse c'è persino molta solitudine.
    "Natale lo faccio in famiglia, con mia mamma", dice avvolto nel mantello
    di Zorro sotto le stelle della Brianza.



    (2)
    L'Unità
    26 e 28 agosto 2003
    Brevi amori a Villa La Certosa
    Marco Travaglio

    Prima puntata

    E' stato finalmente liberato e restituito all'affetto dei suoi cari Renato
    Farina, l'inviato di Libero sequestrato da Silvio Berlusconi allo stadio
    di San Siro e tenuto vilmente in ostaggio per ben sei giorni in Sardegna,
    fra i cactus e i menhir di Villa La Certosa, con trattamenti disumani vietati
    dalla convenzione di Ginevra. Per la vittima si preannuncia però un lungo
    periodo di riabilitazione, a causa di una nuova forma di sindrome di Stoccolma
    che l'ha fatto perdutamente innamorare del rapitore: gli specialisti la chiamano
    Lingua della Costa Smeralda, a causa di un antipatico effetto collaterale:
    l'ipersalivazione. Le corrispondenze dalla reggia del Cavaliere, firmate
    da questo nuovo esemplare del giornalismo "embedded", vagamente ispirate
    a Mario Appelius e pubblicate da Libero il 19 e il 24 agosto, parlano da
    sole.
    Tre cuori, una capanna. "Gli chiedo se posso passare da lui per un saluto.
    "Buona idea, organizzo". Ha organizzato. "Venga allo stadio per Milan-Juve.
    Poi viene con me in Sardegna". Ho la poltroncina dietro la sua. Faccio coppia
    con Fedele Confalonieri. Ci saremo soltanto il presidente di Fininvest ed
    io, ospiti a Villa Certosa". Ecco: serviva giusto un cameriere.
    La salita al calvario. "Si salta la cena? Si parte con l'aereo di Stato dopo
    mezzanotte? Si addormenta placido, con un dolore al costato. Gli offro un
    antidolorifico. "No, grazie, i dolori preferisco sopportarli. So che morirò
    lavorando. Un ictus, un infarto?". Confalonieri annuisce. Lo contraddico:
    ideale è un mese di preparazione alla morte". Serviva pure un infermiere
    e un portafortuna.
    Asterix e Obelix. "Si sale su uno Shuttle con il motore elettrico. E' lui
    al volante. Mostra il parco: sono 70 ettari. "Questo territorio l'ho sottratto
    agli incendi estirpando i rovi? Questa sarà l'agorà". Ora è brullo, ma già
    una decina di grandi pietre puntate verso il cielo creano un anfiteatro di
    misticismo ancestrale. "Sono menhir, alti 8 metri, li ho acquistati da vari
    proprietari e li ho disposti qui"". Tanto poi arriva il condono edilizio.
    Cinegiornale Luce. "Racconta (Lui, ndr) come preveda una sorta di teatro,
    con tre piazze che si sovrappongono e si distendono dinanzi a questi ulivi?
    C'è qualcosa di pionieristico in tutto questo. L'uomo che doma la selvatichezza
    della natura, magari anche un po' troppo, ma Berlusconi è così. Gli chiedo
    se ci sono paragoni con qualche parco. Non ce ne sono - dice". Torna finalmente
    a splendere il sole sui colli fatali di Roma.
    Il Presidente del Cactus. "Una visione confonde persino Confalonieri. "E'
    il museo delle piante grasse e dei cactus". C'è una piscina intorno, Berlusconi
    premendo un bottone illumina soffusamente una foresta incredibile di gonfi
    rigogli vegetali tra rossastre pietre laviche e bouganvillee addormentate.
    Sono duemila esemplari di cinquecento specie. "Accarezzi quella pianta sudafricana".
    Il dito va giù come su una levigatissima pelle eburnea, un burro perlaceo".
    Sono momenti delicati: fu così che l'ingenuo Farina, fra il lusco e il brusco,
    scoprì il sesso.
    Il Presidente Creatore. "Perché ha deciso di impegnarsi in questo immenso
    cantiere? Non può farne a meno. "Volevo dimostrare a me stesso che non sono
    del tutto rincoglionito dal governo. Quando non ho intralci, realizzo, umanizzo
    la realtà al meglio, valorizzo le energie italiane". La parola d'ordine è
    una sola, perentoria e imperativa per tutti: realizzare, umanizzare, valorizzare.
    Il Presidente Usignolo. "La vista è impareggiabile e stavolta il cavaliere,
    vestito di bianco sembra un beduino appena sceso da cavallo. Si abbandona
    al canto che intona il suo amico Mariano Apicella. Berlusca mette giù i testi
    ("in due minuti"), l'altro li palpa, li vellica, li musica". Ecco: anche
    palpare, vellicare, musicare.
    Silvio Manidiforbice. "Il presidente operaio lavora. Persino la passeggiata
    la fa con le cesoie in mano. Il telefono nella sinistra, e la forbiciona
    nella destra. Un passo pota qua, il successivo telefona là. Controlla il
    ghiaietto, le pale del ventilatore sotto un gazebo azionate da un telecomando,
    le cinque piscine per la talassoterapia. Visto sia siamo gente colta, cito
    Rimbaud: che ci faccio qui?>. Citando Montanelli, invece, si potrebbe dire:
    gente colta, ma mai sul fatto.
    Il Presidente Pallonaro. ""Mi tocca sistemare anche il calcio", mi dice.
    "Ho telefonato a Ignazio La Russa. E' svelto. Ha capito tutto. Telefonerà
    al presidente del Catania Gaucci. In serie B rimarrà il Catania. Sarà un
    campionato a 21 squadre. E anche Genoa e Venezia non dovranno lamentarsi"".
    Parole profetiche. Alla fine la serie B sarà a 24 squadre e si sono lamentati
    tutti. Ma l'importante è che La Russa abbia telefonato a Gaucci. E' svelto.
    Ha capito tutto.
    Il Presidente Fecondatore. "Qualcuno si è arrampicato sugli scogli dinanzi
    alla tenuta. Compare lui in maglietta blu e calzoncini bianchi sul davanzale
    a picco sul golfo di Marinella. Le signore si coprono il seno. Lui saluta
    con la mano". Fanno bene, le signore, a coprirsi. L'ultima che non lo fece,
    appena Lui la salutò con la mano dal davanzale a picco, rimase incinta.


    (continua nella prossima discussione...)
    INES TABUSSO
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    INES TABUSSO
    Post: 79
    Registrato il: 08/08/2005
    Utente Junior
    00 20/08/2005 23:58
    (...continua dalla discussione precedente)

    Seconda puntata

    Proseguiamo nella pubblicazione del drammatico diario scritto con mezzi di
    fortuna dal giornalista "embedded" di Libero, Renato Farina, durante i lunghi
    giorni della sua prigionia a villa La Certosa, la sobria residenza estiva
    di Silvio Berlusconi in Costa Smeralda. Per la crudezza delle scene descritte,
    se ne sconsiglia la lettura se non a un pubblico adulto.
    Made in Italy. "La vita, a Villa La Certosa, comincia presto. E' martedì.
    Berlusconi guarda gli zampilli che irrorano un prato che sembra di essere
    in Canada a maggio, e il paragone gli fa venire voglia di camminare per i
    suoi sentieri insieme frondosi e caraibici che percorrono questo parco di
    70 ettari sospeso sul mare". Le discese ardite e le risalite, sul nel cielo
    aperto, e poi giù il deserto. I prati come li fa Lui non li fa nessuno, salvo
    in Canada. I sentieri come li fa Lui non li fa nessuno, salvo ai Caraibi.
    Se non fosse per la saliva del giornalista al seguito, parrebbe quasi di
    stare all'estero.
    Una lacrima sul viso. "Berlusconi si commuove per l'amico che ha perso il
    figlio. Guarda le sperdutezze del mare. "Che cosa devi dire? Le parole non
    servono. L'uomo è 'pulvis et umbra'. Chi è che lo ha scritto, Fedele?". Sai,
    Fedele, non leggo un libro da vent'anni.
    Il Presidente Teologo. "A questo punto inizia una vigorosa discussione sull'aldilà,
    sull'esistenza o meno dell'inferno. Ve la risparmio. E su che cosa sia il
    peccato. Berlusconi dice: "Ho studiato dai salesiani, ero il loro oratore.
    Ora le mostro dove farò una chiesa, dove la domenica dir messa". Non una
    discussione qualunque: una discussione vigorosa.
    Nuovi posti di lavoro. "Si va all'agorà dei menhir, le pietre modellate da
    uomini primitivi. Ferve il lavoro. In tutto il parco ci lavorano in 50 tra
    tecnici e muratori. Le guardie del corpo hanno una divisa coloniale, e mentre
    noi evitiamo con abilità gli zampilli rotanti per l'innaffiatura, loro per
    lavoro non possono, e si fanno docce ogni due minuti". Lui li vuole tutti
    così: pirla.
    I forum del guru. . Magari smettendola di trattare affari con i mafiosi.

    Faccia da perno. "A Genova, l'ultima sera del G8, ho visto i grandi capi
    delle nazioni fare davvero amicizia? Però io posi una premessa: il bene più
    prezioso è la libertà? Bush fu molto colpito, accettò questo ragionamento.
    Dopo l'11 settembre questo è stato il suo perno ideologico". Bush che impara
    la dottrina della democrazia da lei, non è un po' troppo? "E' andata così"".
    Ora si capiscono molte cose.
    La volpe di Baghdad. "Saddam ha dimostrato di essere debole, con un esercito
    scarso. Le armi di distruzione di massa non si trovano, le hanno trasferite
    all'estero". Astuto, questo rais: accumula armi di distruzione di massa per
    vent'anni e poi, quando finalmente lo attaccano, che fa? Non le usa, le nasconde
    all'estero e si lascia spodestare senza sparare un colpo. Geniale.
    Il Presidente Mosè. "I dittatori se ne devono andare. Altrimenti si può minacciare
    l'uso della forza. Quando ho visto di recente Bush mi ha abbracciato e mi
    ha detto di aver discusso con teologi protestanti delle tesi che avevo esposto:
    ci sono fondamenti nella Bibbia". L'hanno assicurato i teologi protestanti
    a Bush. Che poi ha abbracciato Berlusconi. Quindi dev'essere vero.
    Un Uomo, un calzino. "L'uomo pensa a tutto. Ghe pensi mi. Proprio così. Berlusconi
    guarda i miei piedi e dice: "Mi aspetti. Le do un paio delle mie calze, le
    sue non vanno bene". E dire che erano di lusso, marca Gallo. "Provi queste".
    Eccomi dunque a passeggiare con le calze di Berlusconi. Le conversazioni,
    giuro, vengono meglio". Soprattutto per chi parla coi piedi. Comunque, da
    quel giorno, non le ha più lavate.
    Un Uomo, un toupè. "A un certo punto Berlusconi nota che ho pochi capelli,
    ma sparati in su: "Faccia come me, li tenga giù. Vendono un prodotto della?".
    Non dico la marca, non vorrei che la boicottassero". Noi siamo in grado di
    rivelare almeno il prodotto: è il pennarello con cui Carlo Rossella, nel
    dopo-lavoro, arrotonda lo stipendio dipingendo i capelli al principale.
    Un Uomo, una scarpa. "Sulle scarpe invece c'è scritto 'Silvio'. Ma si capisce
    lo stesso che è lui: sta sempre davanti, come nella famosa foto delle Bermude".
    Si capisce lo stesso.
    La giovane marmotta. "Tremonti, che si aggiungerà a Confalonieri e al sottoscritto
    il giorno dopo, è arrivato con i calzoni a mezza gamba da esploratore tropicale.
    Veniva giù dalle Alpi e qui per lui è un po' Africa". E Farina subito lì
    pronto con le valigie: "Sì, buana".
    Gambe di velluto. "Berlusconi con la maglietta blu e i calzoncini bianchi
    è del 1936. Ha le gambe che sembrano la réclame del borotalco dei bambini,
    non oso chiedergli se si depila". A questo punto, per pudore e discrezione,
    non resta che il silenzio. Spegniamo le luci e lasciamoli soli.
    INES TABUSSO