da Kata web
Tool, nuovi giorni di tuono
Con 10.000 Days torna la metal band aperta alla classica, al jazz, al prog. Intervista e recensione
Recensione:
Tool - 10.000 Days
di Giorgio Casari
Il mondo fosco e minaccioso dei Tool ha una nuova creatura, una serie di storie inedite, ma non meno inquietanti, da raccontare. Ecco 10.000 Days, un disco complesso, fatto di 11 canzoni lunghissime (dai sei ai dieci minuti) e articolate. Arriva cinque anni dopo Lateralus e qualche esperimento audiovisivo (i due ultimi EP, di un paio di mesi or sono), confermando l'evoluzione costante della musica di Maynard James Keenan, Justin Cancellor, Danny Carey e Adam Jones.
"Nel nuovo lavoro abbiamo cercato di rendere più evidente il rapporto tra suono e rumore - sottolinea Maynard - e di portare alle estreme conseguenze la geometria sonora che ci ha guidato per così tanti anni". Per l'esattezza 15, dalla nascita in quel di Los Angeles nel 1991 alla serie di album e concerti che hanno dato ai Tool la palma della band heavy metal più progredita del pianeta. "Non abbiamo molto da dire sulle etichette che vengono spese per definirci: di certo partiamo da una constatazione: la realtà è dura, difficile, e gli incubi tante volte hanno la meglio sui semplici sogni".
Parole che servono a definire un percorso lacerante, che ha portato all'estremo le tentazioni nichiliste di certo trash-metal o grind-core di parecchio tempo fa, mescolandolo però con ascendenze colte, che hanno pescato tanto dalla classica o dal jazz quanto dal progressive, tanto dal punk quanto dall'elettronica pura e semplice. "Siamo abbastanza grandi da fare ciò che vogliamo. Così, per 10.000 Days abbiamo deciso di dare alle sonorità dei brani un corpo meno roboante, più scheletrico, puntando parecchio sui ritmi, sui cambi di tempo".
Parole di Cancellor, che al basso ha scandito trame mai così ricche, piene di pulsazioni e sorprese, rese in effetti più evidenti da un'ambientazione piuttosto spoglia, "in cui ogni strumento ha uno spazio speciale, a partire dalla voce di Maynard: tante volte è un vero e proprio strumento, non importa ciò che dice". Più di una volta sono venuti in mente i Pink Floyd dei primi Settanta, un gruppo "a cui qualcosa dobbiamo, di certo, anche se la nostra formazione è stata abbastanza lontana da loro".
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Asgeir, Darkbard, li conoscete?