L'ultimo giorno dell'Isola di Pasqua (1)
Jared Diamon
Sperduta in mezzo all'oceano. Depositaria del segreto dei moai, le enormi sculture di pietra che l'hanno resa famosa in tutto il mondo. Ma in che modo i suoi antichi abitanti riuscivano a costruirle e a innalzarle? Perché a un certo punto le hanno distrutte quasi tutte? Chi o che cosa ha provocato la fine di quella civiltà? Le ultime scoperte dei ricercatori hanno risposto a queste domande e rappresentano un insegnamento per la nostra civiltà che rischia di autodistruggersi
Un tempo l'Isola di Pasqua era un paradiso ammantato di verde sul quale si ergevano centinaia di "moai", le enormi sculture in pietra che hanno reso questo luogo famoso in tutto il mondo. Oggi è una terra desolata, praticamente priva di alberi ad alto fusto.
I moai ancora in piedi e intatti sono soltanto una cinquantina e si tratta solo di quelli restaurati di recente. La maggior parte è stata abbattuta, oppure la costruzione è stata interrotta. Perché la natura dell'Isola di Pasqua si è trasformata e gli abitanti hanno rinunciato ai moai? Nella risposta a queste domande è contenuto un monito alla nostra civiltà. Poche cose che suscitano la curiosità della gente quanto le civiltà scomparse. Davanti alle rovine della civiltà khmer in Cambogia e di quelle maya e incas nell'America Latina, ognuno si chiede perché si siano estinti i popoli che hanno creato quelle meravigliose costruzioni. Tra le civiltà scomparse, quella dell'Isola di Pasqua spicca per la profondità del suo mistero e per il suo isolamento spaziale e temporale dal resto dell'umanità. Moltissime persone hanno fatto volare la fantasia davanti alle gigantesche statue di pietra e all'atmosfera di leggenda che aleggia in quest' isola sperduta.
A dire il vero, anch'io sono stato fra queste. Tuttavia poco tempo fa ho avuto l'opportunità di conoscere i risultati dei lavori di scavo che il mio amico David Steddman, paleontologo del Museo dello Stato di New York ad Albany, sta portando avanti insieme ad altri colleghi per capire quali specie animali e vegetali siano un tempo esistite sull'Isola di Pasqua. Credo che le informazioni emerse dai loro studi non siano semplici racconti del passato, ma preziose realtà storiche contenenti anche un monito per tutti noi. E mi sono nuovamente appassionato all'Isola di Pasqua.
L'isola si trova a 3800 chilometri dalle coste del Cile e ha una superficie di circa 120 chilometri quadrati. È situata a 27 gradi di latitudine sud e ha un clima mite di tipo subtropicale. Il suo nome deriva dal fatto che fu scoperta dall'esploratore olandese Jacob Roggeveen il 5 aprile 1722, cioè il giorno di Pasqua. Gli isolani, però, la chiamano "Rapa Nui" (che dovrebbe significare "grande roccia") oppure "Te Pito O Te Henua" ("ombelico del mondo"). La terra vista da Roggeveen era un'isola dove gli alberi non superavano i tre metri d'altezza, ricoperta perlopiù da aride praterie. Secondo le ricerche dei botanici, le specie di piante a crescita spontanea attualmente presenti sull'Isola di Pasqua sono soltanto 47 e la maggior parte di esse è costituita da erba, falaschi e felci. Nel numero sono incluse solo un paio di specie di alberi ad alto fusto (oltretutto non particolarmente grandi).
Tra gli animali selvatici prevalevano gli uccelli. I soli animali domestici allevati dagli indigeni erano polli. Se ci atteniamo alle valutazioni degli europei che sono arrivati sull'Isola di Pasqua tra il XVIII secolo e l'inizio del XIX, la popolazione dell'epoca era di circa due-tremila abitanti. Quando vi approdò l'esploratore inglese James Cook, nel 1774, i tahitiani che lo accompagnavano riuscirono a comunicare con gli indigeni, che dunque si potevano considerare polinesiani. Tuttavia le navi che andarono incontro a Roggeveen e al capitano Cook erano troppo misere per appartenere a polinesiani, che erano navigatori tanto esperti da essere chiamati "popolo del mare". Secondo Roggeveen sull'isola c'erano soltanto tre o quattro grandi canoe a due posti e, visto che Pitcairn, l'isola più vicina, si trova a circa 1850 chilometri, era impossibile che gli abitanti dell'isola potessero essere immigrati da altre isole con quelle imbarcazioni rudimentali. Così come è impensabile potessero pescare in mare aperto.
L'Isola di Pasqua è affiorata per un'eruzione vulcanica, perciò la linea della costa è piuttosto scoscesa. Gli indigeni vivevano in isolamento e Roggeveen, durante il suo soggiorno, non trovò tracce di contatti con l'esterno. Inoltre non è stato ritrovato alcun oggetto sull'isola che potesse essere stato introdotto da altre popolazioni, oltre a quelle autoctone e agli europei. Ma allora in che modo gli abitanti approdarono sull'isola? Per saperne di più, vediamo che cosa ci possono raccontare i giganteschi moai.
Si dice che un tempo, su enormi piattaforme di pietra lungo la costa, dette "ahu", fossero allineati più di 300 moai. Inoltre almeno 700, in fase di costruzione, sono stati abbandonati nella cava dell'isola o sulle antiche strade che la collegavano alla costa. È come se gli scalpellini e i trasportatori avessero improvvisamente gettato gli arnesi e interrotto per sempre il loro lavoro. I moai, dopo essere stati scolpiti all'interno dell'isola, venivano trasportati verso la costa, distante ben 10 chilometri, e lì venivano innalzati. Bisogna pensare che vi sono moai alti circa 10 metri e con un peso che può arrivare fino a 82 tonnellate. E gli "ahu" non sono da meno: i più grandi superano i 150 metri di lunghezza, i 3 metri di altezza e le 10 tonnellate di peso.
Tra i moai abbandonati, poi, alcuni raggiungono quasi 20 metri di altezza e 270 tonnellate di peso. Impossibile perciò non chiedersi in che modo gli indigeni, che non disponevano di grandi alberi, di funi robuste e di animali da tiro, abbiano portato i giganteschi moai fino a un luogo distante vari chilometri e li abbiano innalzati. Inoltre, se già all'arrivo di Roggeveen nel 1722 e di Cook nel 1774 molti moai erano stati abbattuti, perché gli isolani li costruivano? E perché hanno smesso? Come abbiamo detto, sull'Isola di Pasqua, prima dello sbarco di Roggeveen, la popolazione era di circa duemila persone e costituiva una società molto ben organizzata, soprattutto per la costruzione dei moai. Le pietre più adatte a essere scolpite venivano raccolte in varie parti dell'isola. Il corpo principale del moai veniva trasportato dalla zona del Rano Raraku nel nord-est dell'isola; la pietra rossa posta sulla testa del moai, detta "pukao", proveniva da Pona Pau, una località all'interno, verso sud-ovest; gli arnesi per levigare la pietra arrivavano dal monte Orito.
Le fertili terre coltivabili si trovavano a sud e a est, mentre le zone pescose erano a nord e a ovest. Perché la produzione e la distribuzione del cibo e delle pietre funzionassero nel modo migliore era dunque necessaria una sviluppata organizzazione.
Per capire in che modo fu creata, occorre prima rispondere a un altro quesito: da dove provenivano gli abitanti di quest'isola? Il dibattito è proseguito per 250 anni, senza riuscire ad arrivare a una soluzione. Molti erano scettici sul fatto fosse stata una popolazione polinesiana, cui veniva attribuita una tecnologia primitiva, a costruire le gigantesche statue e i basamenti modellati.
Così, negli anni Cinquanta, l'esploratore norvegese Thor Heyerdahl propose la teoria secondo la quale furono gli indios del continente americano, con la loro civiltà avanzata, a emigrare dalle regioni del lago Titicaca (tra Bolivia e Perù) verso la Polinesia, stabilendosi anche nell'Isola di Pasqua. Poi, per dimostrare la sua ipotesi, tentò la traversata del Pacifico su una zattera a cui diede il nome di Kon-Tiki, in onore del mitico re-condottiero di questi antichi trasmigratori.
Negli anni Sessanta qualcuno avanzò anche l'inevitabile ipotesi degli extraterrestri.
Ma tutte queste teorie ignorano un dato di fatto: gli abitanti dell'Isola di Pasqua sono palesemente polinesiani, che provenivano dall'Asia avanzando verso oriente. Come aveva già notato il capitano Cook, la lingua era di ceppo polinesiano. E anche i moai hanno la loro origine nella cultura polinesiana. I loro ami da pesca e le asce assomigliano a oggetti rinvenuti nelle Isole Marchesi. E oggi, sulla base dell'esame del Dna, effettuato nel 1994 su dodici ossa umane antiche trovate nell'isola, è possibile affermare che appartengono a polinesiani. Inoltre, gli isolani allevavano pollame e coltivavano banane, patate dolci, canna da zucchero e gelso, tutti prodotti tipici della Polinesia e, per la maggior parte, di provenienza sud-est asiatica.
Conclusa l'era delle divertenti fantasie, la realtà si va chiarendo a poco a poco grazie alle ricerche in tre campi: l'archeologia, la paleontologia e soprattutto la palinologia, cioè lo studio dei pollini fossili. Con la misurazione attraverso il radiocarbonio, il periodo più antico in cui viene attestata una forma di attività umana sull'Isola di Pasqua va dal 400 al 700 dopo Cristo. Questo coincide con la stima dei linguisti, datata attorno al 400.
fonte: Newton - Marzo 1998
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