Rapa nui

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Gufo Astrale
00domenica 19 settembre 2004 21:46


L'ultimo giorno dell'Isola di Pasqua (1)

Jared Diamon

Sperduta in mezzo all'oceano. Depositaria del segreto dei moai, le enormi sculture di pietra che l'hanno resa famosa in tutto il mondo. Ma in che modo i suoi antichi abitanti riuscivano a costruirle e a innalzarle? Perché a un certo punto le hanno distrutte quasi tutte? Chi o che cosa ha provocato la fine di quella civiltà? Le ultime scoperte dei ricercatori hanno risposto a queste domande e rappresentano un insegnamento per la nostra civiltà che rischia di autodistruggersi

Un tempo l'Isola di Pasqua era un paradiso ammantato di verde sul quale si ergevano centinaia di "moai", le enormi sculture in pietra che hanno reso questo luogo famoso in tutto il mondo. Oggi è una terra desolata, praticamente priva di alberi ad alto fusto.

I moai ancora in piedi e intatti sono soltanto una cinquantina e si tratta solo di quelli restaurati di recente. La maggior parte è stata abbattuta, oppure la costruzione è stata interrotta. Perché la natura dell'Isola di Pasqua si è trasformata e gli abitanti hanno rinunciato ai moai? Nella risposta a queste domande è contenuto un monito alla nostra civiltà. Poche cose che suscitano la curiosità della gente quanto le civiltà scomparse. Davanti alle rovine della civiltà khmer in Cambogia e di quelle maya e incas nell'America Latina, ognuno si chiede perché si siano estinti i popoli che hanno creato quelle meravigliose costruzioni. Tra le civiltà scomparse, quella dell'Isola di Pasqua spicca per la profondità del suo mistero e per il suo isolamento spaziale e temporale dal resto dell'umanità. Moltissime persone hanno fatto volare la fantasia davanti alle gigantesche statue di pietra e all'atmosfera di leggenda che aleggia in quest' isola sperduta.

A dire il vero, anch'io sono stato fra queste. Tuttavia poco tempo fa ho avuto l'opportunità di conoscere i risultati dei lavori di scavo che il mio amico David Steddman, paleontologo del Museo dello Stato di New York ad Albany, sta portando avanti insieme ad altri colleghi per capire quali specie animali e vegetali siano un tempo esistite sull'Isola di Pasqua. Credo che le informazioni emerse dai loro studi non siano semplici racconti del passato, ma preziose realtà storiche contenenti anche un monito per tutti noi. E mi sono nuovamente appassionato all'Isola di Pasqua.


L'isola si trova a 3800 chilometri dalle coste del Cile e ha una superficie di circa 120 chilometri quadrati. È situata a 27 gradi di latitudine sud e ha un clima mite di tipo subtropicale. Il suo nome deriva dal fatto che fu scoperta dall'esploratore olandese Jacob Roggeveen il 5 aprile 1722, cioè il giorno di Pasqua. Gli isolani, però, la chiamano "Rapa Nui" (che dovrebbe significare "grande roccia") oppure "Te Pito O Te Henua" ("ombelico del mondo"). La terra vista da Roggeveen era un'isola dove gli alberi non superavano i tre metri d'altezza, ricoperta perlopiù da aride praterie. Secondo le ricerche dei botanici, le specie di piante a crescita spontanea attualmente presenti sull'Isola di Pasqua sono soltanto 47 e la maggior parte di esse è costituita da erba, falaschi e felci. Nel numero sono incluse solo un paio di specie di alberi ad alto fusto (oltretutto non particolarmente grandi).

Tra gli animali selvatici prevalevano gli uccelli. I soli animali domestici allevati dagli indigeni erano polli. Se ci atteniamo alle valutazioni degli europei che sono arrivati sull'Isola di Pasqua tra il XVIII secolo e l'inizio del XIX, la popolazione dell'epoca era di circa due-tremila abitanti. Quando vi approdò l'esploratore inglese James Cook, nel 1774, i tahitiani che lo accompagnavano riuscirono a comunicare con gli indigeni, che dunque si potevano considerare polinesiani. Tuttavia le navi che andarono incontro a Roggeveen e al capitano Cook erano troppo misere per appartenere a polinesiani, che erano navigatori tanto esperti da essere chiamati "popolo del mare". Secondo Roggeveen sull'isola c'erano soltanto tre o quattro grandi canoe a due posti e, visto che Pitcairn, l'isola più vicina, si trova a circa 1850 chilometri, era impossibile che gli abitanti dell'isola potessero essere immigrati da altre isole con quelle imbarcazioni rudimentali. Così come è impensabile potessero pescare in mare aperto.

L'Isola di Pasqua è affiorata per un'eruzione vulcanica, perciò la linea della costa è piuttosto scoscesa. Gli indigeni vivevano in isolamento e Roggeveen, durante il suo soggiorno, non trovò tracce di contatti con l'esterno. Inoltre non è stato ritrovato alcun oggetto sull'isola che potesse essere stato introdotto da altre popolazioni, oltre a quelle autoctone e agli europei. Ma allora in che modo gli abitanti approdarono sull'isola? Per saperne di più, vediamo che cosa ci possono raccontare i giganteschi moai.

Si dice che un tempo, su enormi piattaforme di pietra lungo la costa, dette "ahu", fossero allineati più di 300 moai. Inoltre almeno 700, in fase di costruzione, sono stati abbandonati nella cava dell'isola o sulle antiche strade che la collegavano alla costa. È come se gli scalpellini e i trasportatori avessero improvvisamente gettato gli arnesi e interrotto per sempre il loro lavoro. I moai, dopo essere stati scolpiti all'interno dell'isola, venivano trasportati verso la costa, distante ben 10 chilometri, e lì venivano innalzati. Bisogna pensare che vi sono moai alti circa 10 metri e con un peso che può arrivare fino a 82 tonnellate. E gli "ahu" non sono da meno: i più grandi superano i 150 metri di lunghezza, i 3 metri di altezza e le 10 tonnellate di peso.

Tra i moai abbandonati, poi, alcuni raggiungono quasi 20 metri di altezza e 270 tonnellate di peso. Impossibile perciò non chiedersi in che modo gli indigeni, che non disponevano di grandi alberi, di funi robuste e di animali da tiro, abbiano portato i giganteschi moai fino a un luogo distante vari chilometri e li abbiano innalzati. Inoltre, se già all'arrivo di Roggeveen nel 1722 e di Cook nel 1774 molti moai erano stati abbattuti, perché gli isolani li costruivano? E perché hanno smesso? Come abbiamo detto, sull'Isola di Pasqua, prima dello sbarco di Roggeveen, la popolazione era di circa duemila persone e costituiva una società molto ben organizzata, soprattutto per la costruzione dei moai. Le pietre più adatte a essere scolpite venivano raccolte in varie parti dell'isola. Il corpo principale del moai veniva trasportato dalla zona del Rano Raraku nel nord-est dell'isola; la pietra rossa posta sulla testa del moai, detta "pukao", proveniva da Pona Pau, una località all'interno, verso sud-ovest; gli arnesi per levigare la pietra arrivavano dal monte Orito.

Le fertili terre coltivabili si trovavano a sud e a est, mentre le zone pescose erano a nord e a ovest. Perché la produzione e la distribuzione del cibo e delle pietre funzionassero nel modo migliore era dunque necessaria una sviluppata organizzazione.

Per capire in che modo fu creata, occorre prima rispondere a un altro quesito: da dove provenivano gli abitanti di quest'isola? Il dibattito è proseguito per 250 anni, senza riuscire ad arrivare a una soluzione. Molti erano scettici sul fatto fosse stata una popolazione polinesiana, cui veniva attribuita una tecnologia primitiva, a costruire le gigantesche statue e i basamenti modellati.

Così, negli anni Cinquanta, l'esploratore norvegese Thor Heyerdahl propose la teoria secondo la quale furono gli indios del continente americano, con la loro civiltà avanzata, a emigrare dalle regioni del lago Titicaca (tra Bolivia e Perù) verso la Polinesia, stabilendosi anche nell'Isola di Pasqua. Poi, per dimostrare la sua ipotesi, tentò la traversata del Pacifico su una zattera a cui diede il nome di Kon-Tiki, in onore del mitico re-condottiero di questi antichi trasmigratori.

Negli anni Sessanta qualcuno avanzò anche l'inevitabile ipotesi degli extraterrestri.

Ma tutte queste teorie ignorano un dato di fatto: gli abitanti dell'Isola di Pasqua sono palesemente polinesiani, che provenivano dall'Asia avanzando verso oriente. Come aveva già notato il capitano Cook, la lingua era di ceppo polinesiano. E anche i moai hanno la loro origine nella cultura polinesiana. I loro ami da pesca e le asce assomigliano a oggetti rinvenuti nelle Isole Marchesi. E oggi, sulla base dell'esame del Dna, effettuato nel 1994 su dodici ossa umane antiche trovate nell'isola, è possibile affermare che appartengono a polinesiani. Inoltre, gli isolani allevavano pollame e coltivavano banane, patate dolci, canna da zucchero e gelso, tutti prodotti tipici della Polinesia e, per la maggior parte, di provenienza sud-est asiatica.

Conclusa l'era delle divertenti fantasie, la realtà si va chiarendo a poco a poco grazie alle ricerche in tre campi: l'archeologia, la paleontologia e soprattutto la palinologia, cioè lo studio dei pollini fossili. Con la misurazione attraverso il radiocarbonio, il periodo più antico in cui viene attestata una forma di attività umana sull'Isola di Pasqua va dal 400 al 700 dopo Cristo. Questo coincide con la stima dei linguisti, datata attorno al 400.



fonte: Newton - Marzo 1998

http://cubo.rcs.it:8666/sommario




Gufo Astrale
00domenica 19 settembre 2004 21:51
Rapa nui seconda parte
L'ultimo giorno dell'Isola di Pasqua (2)

Jared Diamon


Gli abitanti dell'Isola di Pasqua probabilmente si trasferirono dalla Polinesia orientale circa 1600 anni fa, verso il 400, e l'apice nella produzione dei moai si colloca tra il 1200 e il 1500. Quasi tutti gli archeologi pensano che in quel periodo sull'isola vivessero circa 7000 persone. Questi studiosi hanno anche svolto un esperimento sulla produzione e il trasporto dei moai, concludendo che una statua molto grande può essere completata da venti persone nel giro di un anno, utilizzando semplicemente strumenti di pietra. E hanno anche dimostrato che, avendo a disposizione legname e corde, è possibile per duecento persone caricare il moai su una specie di "slitta" e trasportarlo su un rullo o su una strada su cui siano allineati dei tronchi che lo facciano scivolare con facilità. L'enorme scultura può essere poi innalzata facendo leva con i tronchi.

Ma allora, gli strumenti necessari per quest'opera venivano prodotti nell'antica Isola di Pasqua? Rispondere è compito della palinologia, la scienza che studia i pollini e le spore. Per prima cosa si cerca uno stagno o una palude in cui scavare verticalmente per misurare con il radiocarbonio l'età geologica. Poi si estraggono i sedimenti poco alla volta, dall'alto verso il basso, si esaminano al microscopio e si analizzano quantità e tipologie dei pollini.

È un lavoro che richiede pazienza, ma che ha permesso di scoprire una realtà sorprendente. Almeno 30 mila anni prima che esseri umani si trasferissero a vivere sull'Isola di Pasqua, e fino al primo periodo del loro insediamento, l'isola era coperta di alberi tipici delle regioni subtropicali. Sembra che alla loro ombra crescessero rigogliosamente piante a basso fusto, cespugli, felci ed erba. Tra le specie presenti, l'albero "hau hau", da cui si ricavano fibre per fabbricare le corde, e il "toromiro", usato come legna da ardere. La cosa più sorprendente è stato scoprire che lo strato di terra più profondo era zeppo di polline di palma, albero attualmente introvabile.

Inoltre, in base agli scavi condotti dal mio amico David Steddman, è ora possibile comprendere qualcosa anche a proposito della fauna. Rifacendosi all'esperienza degli altri territori polinesiani, Steddman pensava che il 90 per cento dei resti ritrovati in un'antica discarica fossero scheletri di pesci. Tuttavia, la zona di mare intorno all'Isola di Pasqua è troppo fredda perché i pesci possano sopravvivere nelle barriere coralline. La quasi totalità delle coste, poi, è formata da pareti scoscese e sono poche le zone adatte alla pesca nei bassi fondali.

Risultò invece che tra quei resti, risalenti al primo periodo immigratorio, gli scheletri di pesci erano meno di un quarto. Al contrario, circa un terzo era costituito da ossa di delfini. Che dunque dovevano essere il cibo favorito degli antichi abitanti dell'isola, i quali probabilmente si cibavano anche di uccelli marini. Ma per cacciare i delfini e trafiggerli con gli arpioni era necessario cercarli in mare aperto, con barche di grandi dimensioni, che si potevano costruire solo con legno di palma: un'ulteriore conferma che, a quell'epoca, nell'Isola di Pasqua esistevano palme in abbondanza.

Dunque, l'isola che apparve agli uomini che vi approdarono verso l'anno 400 dalla Polinesia orientale era senza dubbio un paradiso terrestre. Allora perché è diventata una terra brulla? Sempre grazie alla palinologia, si è compreso che la distruzione di boschi e foreste ha avuto inizio attorno all'anno 800. Da quella data in poi, si cominciano a ritrovare, nei sedimenti, tracce di alberi bruciati; i pollini di palma e di piante a basso fusto diminuiscono o scompaiono e, al loro posto, aumenta il polline di erba. Infine, poco dopo il 1400, la palma si estingue completamente. Forse ne erano state tagliate troppe, ma più probabilmente la causa sta nel fatto che i topi, riprodottisi in numero eccessivo, rosicchiavano i frutti della pianta impedendo la nascita di nuovi germogli. L'albero "hau hau", utilizzato per fare le corde, non si è del tutto estinto, ma si è enormemente ridotto.

Quandò arrivò Heyerdahl, dell'albero "toromiro", usato come legna da ardere, erano rimasti solo pochi esemplari. Dunque nel XV secolo dall'Isola di Pasqua sparirono intere foreste. Gli uomini abbattevano gli alberi; i topi ne mangiavano i frutti; gli uccelli selvatici, che aiutavano la diffusione di polline e semi, andarono estinguendosi e, dopo di essi, anche altri animali. L'eccessiva pesca dei molluschi sterminò gran parte delle risorse alimentari che si trovavano sotto costa. Secondo gli studi sulla datazione, le ossa di delfini si esauriscono attorno al 1500. Ciò significa che, dopo quell'epoca, diventò impossibile costruire grandi canoe. Gli isolani potenziarono l'allevamento del pollame ma infine, come ultima "risorsa di proteine", cominciò il cannibalismo: nei rifiuti dell'ultimo periodo sono state trovate molte ossa umane, e anche la tradizione orale riferisce questa pratica.

L'accentuato disboscamento, dovuto all'incremento della popolazione dell'Isola di Pasqua, alla fine superò la capacità di autoriproduzione delle foreste. A causa dell'estinzione dei boschi, avanzò l'erosione del suolo per l'azione di pioggia e vento e l'inaridimento dovuto al sole. Il cibo cominciò a scarseggiare e quindi fu sempre più difficile mantenere i capi, i funzionari e i sacerdoti, classi esentate dal lavoro manuale. Al loro posto guadagnarono terreno i militari, il centralismo crollò e arrivò l'epoca dei conflitti tribali. Anche la popolazione diminuì rapidamente: prima si ridusse a un quarto, poi a un decimo. Durante quei conflitti, verso il 1700, probabilmente iniziò la distruzione dei moai dei nemici e quando il missionario francese Eugène Eyraud visitò l'isola.

Un'antica leggenda isolana spiega l'abbattimento dei moai in modo suggestivo. Si racconta che i costruttori dei moai si nutrissero con pesci speciali pescati apposta per loro. Un giorno i pescatori scoprirono un'enorme aragosta, la catturarono e la portarono agli scultori. I quali a loro volta chiesero a una maga di cucinarla. La donna acconsentì, in cambio di una buona porzione del crostaceo. Mentre l'aragosta cuoceva, la maga si allontanò per far visita al fratello. Al suo ritorno, l'aragosta era già stata tutta mangiata dagli scultori, che stavano lavorando a un moai particolarmente impegnativo. La maga si infuriò e lanciò la sua maledizione: "Statue che siete in piedi, cadete! E voi, mai più mi ruberete il cibo: immobilizzatevi per sempre!". Così i moai crollarono e gli scultori, divenuti di pietra, non poterono sostituirli. Maghe e aragoste a parte, resta l'interrogativo sul perché gli isolani non si siano resi conto, prima che fosse troppo tardi, che l'equilibrio ecologico dell'isola si era incrinato e che la situazione stava precipitando.

Forse questi mutamenti non si sono manifestati tutti insieme, ma gradualmente e in modo subdolo. Le foreste sono scomparse nel corso di molti anni. Se anche qualcuno degli abitanti dell'isola si fosse accorto del pericolo, la sua voce sarebbe stata soffocata dai funzionari e dai capi, che avevano scoperto i profitti derivanti dal taglio degli alberi. Quando fu abbattuto l'ultimo albero di palma con frutti, forse gli isolani non capirono che si trattava proprio dell'ultimo.

Ciò che è accaduto nell'Isola di Pasqua ci dà un chiaro insegnamento. Il continuo aumento della popolazione dovrebbe portare ad affrontare la realtà della limitatezza delle risorse che noi, invece, continuiamo a depauperare. È facile chiudere gli occhi e poi disperarsi. Gli abitanti dell'Isola di Pasqua erano poche migliaia di persone, possedevano solo utensili di pietra e forza fisica e si sono autodistrutti. È possibile che il genere umano, cioè miliardi di persone che utilizzano ogni tipo di materiale e la forza delle macchine, non distrugga se stesso? Per fortuna c'è una differenza determinante: su quell'isola non esistevano i libri, mentre noi conosciamo la storia delle altre civiltà. Mi auguro che le nuove generazioni sappiano trarre il giusto insegnamento da storie come quella dell'Isola di Pasqua.



fonte: Newton - Marzo 1998

http://cubo.rcs.it:8666/sommario
MissP.Y.T.
00lunedì 20 settembre 2004 14:06
Ho visto il film ke belloooo lo vidi qnd ero pikkolas
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 09:06.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com