L’Europa è un’avventura il nuovo libro di Zygmunt Bauman

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vanni-merlin
00domenica 24 settembre 2006 11:30
ANTICIPAZIONE. NEL NUOVO SAGGIO DEL GRANDE SOCIOLOGO L’AVVENTURA DELL’UNIONE AL BIVIO TRA ARROCCAMENTO LOCALE E RESPONSABILITÀ GLOBALE

Bauman
Provaci ancora Europa

22/9/2006
di Zygmunt Bauman


Si intitola L’Europa è un’avventura il nuovo libro
di Zygmunt Bauman (pp. 164, e15), di cui anticipiamo
in questa pagina un brano. Bauman è uno dei sociologi
più noti e influenti del mondo. Nato a Poznan, in Polonia, il 19 novembre 1925, professore emerito alle Università di Leeds e di Varsavia, da quasi 40 anni vive in Inghilterra. È un autore molto prolifico. Tra i suoi saggi, Cultura come prassi e Modernità e Olocausto (tradotti dal Mulino); Dentro la globalizzazione, Voglia di comunità, La società sotto assedio, Modernità liquida, Amore liquido, Vita liquida (tutti da Laterza).


I sentimenti di appartenenza condivisa e di mutua responsabilità per il futuro in comune, la disponibilità a prendersi cura a vicenda del benessere di ciascuno e a trovare soluzioni amichevoli e durature ai conflitti che esplodono di volta in volta – tutte quelle caratteristiche della vita collettiva che per gran parte dell’era moderna sono state compresse nell’idea di «nazionalità» – richiedono necessariamente un quadro istituzionale per la formazione dell’opinione e della volontà che si condensa attualmente nell’idea di Stato sovrano gestito in modo democratico. L’Unione Europea aspira a dar vita – sia pur con lentezza ed esitazioni – a una forma rudimentale (o embrionale: il futuro deciderà quale delle due qualificazioni sia più adatta) di tale Stato, e gli ostacoli più ingombranti che incontra sul suo cammino sono gli attuali Stati-nazione, riluttanti a cedere ciò che resta della loro sovranità, un tempo piena. È difficile tracciarne in modo univoco l’attuale direzione, e ancor più difficile (oltre che irresponsabile e incauto) prevederne il tragitto tortuoso.

Arginare la marea
La spinta attuale risponde a due logiche diverse (forse complementari, o magari incompatibili) ed è impossibile stabilire in anticipo quale di esse finirà per prevalere: se la logica dell’arroccamento locale o la logica della responsabilità e delle aspirazioni globali.

La prima logica è quella dell’espansione quantitativa della base (fatta di territorio e di risorse) a supporto della strategia della Standortkonkurrenz, la «concorrenza di posizione». Anche se i fondatori del Mercato Comune Europeo e i loro successori non avessero mai fatto alcun tentativo di emancipare le economie dai confini troppo angusti del contesto della Nationalökonomie, la «guerra di liberazione» attualmente condotta dal capitale, dalla finanza e dall’industria globali contro le «pastoie locali» (una guerra scatenata e intensificata non già da interessi locali, ma dalle deroghe globali) sarebbe stata mossa comunque e sarebbe continuata senza posa. Il ruolo delle istituzioni europee non consiste nell’erodere la sovranità degli Stati membri, in particolare liberando le attività economiche dall’ingerenza dei loro controlli (e vincoli); in breve, non consiste nel facilitare, e tanto meno avviare, la procedura di separazione tra potere e politica. A tale scopo non occorrono certo i servigi delle istituzioni europee. Esse hanno piuttosto la funzione di arginare la marea: di bloccare e trattenere entro le frontiere continentali i capitali scappati dalle stalle dello Stato-nazione.

Compiti sempre più ardui
Se, alla luce della forza crescente del capitale globale, ingabbiare efficacemente i mercati dei capitali, finanziari, industriali e del lavoro e far quadrare i conti all’interno di un singolo Stato-nazione diventano compiti sempre più ardui, i poteri combinati degli Stati-nazione – presi singolarmente o tutti insieme – saranno in grado di affrontare e tener testa al capitale globale in condizioni meno impari? In altri termini, la logica dell’arroccamento locale consiste nel ricostruire a livello di Unione Europea il tessuto legale e istituzionale che in passato teneva insieme l’«economia nazionale» entro i confini della sovranità territoriale di uno Stato-nazione, cosa oggi non più possibile.

Dall’altra parte, la logica della responsabilità globale (e, una volta che tale responsabilità sia stata riconosciuta e fatta propria, delle aspirazioni globali) è rivolta, almeno in linea di principio, ad affrontare in modo diretto, e al loro livello, i problemi sorti a dimensione globale. Essa deriva dall’assunto secondo cui soluzioni durature e realmente efficaci a problemi di dimensione planetaria possono essere individuate e dare frutti solo attraverso la rinegoziazione e la riforma del tessuto d’interdipendenze e interazioni globali.

All’ombra dell’impero Usa
A differenza della logica dell’arroccamento locale – che perlopiù ripropone i ritornelli insistenti della filosofia della ragion di Stato, dominante più o meno ovunque nell’era dello Stato-nazione – la logica della responsabilità e delle aspirazioni globali ci spinge su un terreno inesplorato e inaugura un’era di sperimentazione politica. Essa respinge la via della difesa locale dalle tendenze globali, ritenendo che si sia rivelata un vicolo cieco, e si astiene (per necessità, oltre che per ragioni di coscienza) dal riproporre la tradizionale strategia europea che tratta lo spazio planetario come un «retroterra» sul quale scaricare i problemi sorti – ma non risolvibili – all’interno. Al contrario, questa logica ritiene che la via della difesa locale sia priva di qualsiasi realistica possibilità di successo; d’altra parte, nemmeno l’opzione ben seguita dall’Europa in passato, per quanto tuttora allettante, è più disponibile, dato che l’Europa ha perduto la sua posizione dominante e vive ormai all’ombra di un nuovo impero planetario che essa può cercare, nel migliore dei casi, di contenere e moderare, non certo di controllare.

Perciò, lo si voglia o no, occorre cercare, e tentare strategie e tattiche nuove e inesplorate, senza poterne prevedere (e ancor meno garantire) in modo attendibile l’esito finale. Ciò che l’Europa ha di fronte adesso è la prospettiva di dover sviluppare, gradualmente e simultaneamente, forse attraverso una lunga serie di tentativi ed errori, sia gli obiettivi sia gli strumenti adatti ad affrontarli e risolverli (Jacques Delors ha definito l’Europa odierna un «Upo», vale a dire un «oggetto politico non identificato»). A rendere il compito ancor più arduo, la stessa mèta finale di tutto questo lavoro, ossia una politica planetaria efficace, basata su un polilogo costante più che su un governo del pianeta, non ha precedenti. Solo la prassi storica potrà dimostrarne (mai però smentirne) la fattibilità, o più correttamente renderla fattibile.

La metafora della sella
Noi sentiamo, indoviniamo, sospettiamo ciò che occorre fare, ma non possiamo sapere, in ultima analisi, in quale forma o modalità accadrà. Tuttavia possiamo essere abbastanza certi che la forma sarà inconsueta, diversa da ogni altra a noi familiare. Le istituzioni politiche attualmente a nostra disposizione sono state create a misura della sovranità territoriale dello Stato-nazione, e resistono ai tentativi di tenderle come elastici: le istituzioni politiche che serviranno all’auto-costituzione della comunità umana su scala planetaria non saranno, né possono essere, «le stesse, solo più grandi». Intuiamo che il passaggio da agenzie e strumenti d’azione «internazionali» a istituzioni «universali» valide per tutta l’umanità dev’essere un cambiamento qualitativo, non meramente quantitativo, e ci interroghiamo, preoccupati, sulla possibilità che le strutture di «politica globale» attualmente disponibili siano adeguate alle prassi della polity globale emergente, e si offrano anzi come sue incubatrici. Che dire ad esempio delle Nazioni Unite, che fin dalle origini hanno il mandato di montare la guardia e difendere l’indivisa sovranità territoriale degli Stati? O ancora, è possibile che il carattere vincolante delle leggi globali – e dunque l’obbedienza nei loro confronti – dipenda dal consenso (revocabile!) di un membro sovrano della «comunità internazionale»?

Per cogliere il senso dei passaggi fatidici del pensiero europeo del Seicento Reinhardt Koselleck ha messo in campo il topos della «sella» \: altra metafora efficace sia per noi che ci sforziamo di prevedere le anse che il XXI secolo inevitabilmente descriverà lungo il suo percorso sinuoso, sia per gli storici futuri che tenteranno retrospettivamente di descrivere tale percorso. Come i nostri antenati tre secoli fa, ci troviamo su un pendio che sale verso un valico di montagna mai attraversato prima e non abbiamo alcuna idea della veduta che ci si schiuderà davanti una volta arrivati in cima. Non sappiamo dove ci porterà la gola tortuosa che stiamo percorrendo, ma di certo non possiamo fermarci a riposare qui, su un sentiero in ripida salita. Perciò continuiamo ad avanzare «per un motivo»: perché non possiamo restare in piedi a lungo. Soltanto quando (se) raggiungeremo la sommità del valico e osserveremo il paesaggio sull’altro versante sarà tempo di muoversi «verso un fine»: non più sospinti da ciò che abbiamo alle spalle, ma attratti in avanti dalle visioni, dalle finalità e dalle destinazioni che avremo scelto.

Così si compie la missione
La logica della responsabilità e delle aspirazioni globali, se adottata e anteposta alla logica dell’arroccamento locale, può contribuire a preparare l’Europa alla sua prossima avventura, forse ancora più grandiosa delle precedenti. Nonostante le probabilità siano straordinariamente avverse, quella logica potrebbe assegnare ancora una volta all’Europa il ruolo di pattern-setter, cioè chi definisce i modelli globali, e metterla in condizione di dispiegare i suoi valori e l’esperienza politica/etica che ha acquisito d’autogoverno democratico per favorire l’avvento di una comunità umana universale e pienamente inclusiva al posto dell’insieme di entità trincerate sui rispettivi territori e impegnate in un gioco di sopravvivenza a somma zero. Soltanto con la realizzazione di una simile comunità potrà compiersi la missione dell’Europa; soltanto all’interno di tale comunità potranno essere realmente in salvo i valori che illuminano le aspirazioni e gli obiettivi dell’Europa.



da: www.lastampa.it/cmstp/rubriche/girata.asp?ID_blog=54&ID_articolo=397&ID_sezione=80&sezione=...

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