Il Libro degli esseri immaginari : Jorge Luis Borges - Margarita Guerrero

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abarat
00martedì 21 novembre 2006 11:02



Spinto da una inesauribile passione per le strane entità sognate dagli uomini – dalla Fenice, specchio dell’universo, al T’ao-T’ie, «mostro formale, ispirato dal demonio della simmetria a scultori, ceramisti e vasai» –, Borges ha perlustrato nel corso degli anni letterature e mitologie, enciclopedie e dizionari, resoconti di viaggio e antichi bestiari, scoprendo tra l’altro che la zoologia fantastica è percorsa da singolari, seducenti affinità: così, ad esempio, il Pesce dei Terremoti, un’anguilla lunga settecento miglia che porta il Giappone sul dorso, è analogo al Bahamut delle tradizioni arabe e al Milgardsorm dell’Edda. Non c’è del resto da stupirsi: «Ignoriamo il senso del drago come ignoriamo il senso dell’universo, ma c’è qualcosa nella sua immagine che si accorda all’immaginazione degli uomini, e così il drago appare in epoche e a latitudini diverse».

L’esito di questa sterminata ricognizione è un manuale che il lettore è caldamente invitato a frequentare «come chi gioca con le forme mutevoli svelate da un caleidoscopio». Ritroverà così animali che già gli erano familiari, ma che ora tradiscono caratteri insospettati: come l’Idra di Lerna, la cui testa sepolta da Ercole continua a odiare e sognare, o il Minotauro, «l’ombra di altri sogni ancora più orribili». Imparerà a conoscere esseri che sembrano usciti dalla fantasia stessa di Borges: come la «gente dello specchio», ridotta a riflesso servile dall’Imperatore Giallo dopo aspre battaglie, o il funesto Doppio, suggerito «dagli specchi, dall’acqua e dai fratelli gemelli». E si imbatterà in creature di cui neppure sospettava l’esistenza: come lo hidebehind dei taglialegna del Wisconsin e del Minnesota, che sta sempre dietro a qualcosa, o la Scimmia dell’inchiostro, che attende pazientemente che tu abbia finito di scrivere per berlo. E sempre aleggia, irresistibile e aereo, lo humour di Borges, il quale ci spiega compassato che la qualifica di contea palatina attribuita al Cheshire provocò l’incontenibile ilarità dei gatti del luogo – donde, con ogni probabilità, il Gatto del Cheshire.

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