Allora, in una serata di pioggia assurda, un povero vecchio pelato, sua moglie, il suo amico (che tra l’altro è anche il suo medico...) e la di lui consorte partono da Cantù e raggiungono Brienno, lago di Como, sponda esterna sulla strada per Menaggio, dove, in un improbabile locale dall’ancora più improbabile nome (“Birimbo”...) è in programma il concerto di Michael McDermott, uno dei preferiti del povero vecchio pelato di cui sopra.
(ok, ora passo alla prima persona perchè mi viene più facile...)
Il quartetto entra nel suddetto locale dove l’artista sta ultimando il sound check. Sfodero la migliore faccia tosta di cui dispongo e mi paleso con le copertine di tutti i suoi dischi (già, li ho tutti...) chiedendogli se per cortesia me le può firmare. Lui mi appare molto sorpreso (“Ma li hai tutti?”...) (già, li ho tutti...) e me li firma di buon grado. Scambiamo due parole e io gli manifesto tutta la mia sorpresa di vederlo in un locale come quello, quando, secondo me, meriterebbe dei palcoscenici ben migliori, ma lui sorride e mi dice che l’importante è suonare, non importa dove. A quel punto gli mostro la mia lista delle sue canzoni che mi piacciono di più e gli chiedo se nella scaletta della serata ce n’è qualcuna. Lui scorre i titoli e poi mi dice che no, farà solo “I shall be healed”. Deve intuire il mio leggero disappunto perchè passa subito a spiegarmi che le altre che ho mess0 in lista non sono adattissime ad una strumentazione risicata come prevista (lui alla chitarra o al piano e la sua fidanzata – nonché prossima sposa il 3 maggio a Ferrara, scoprirò più tardi – al violino...) passando poi a mostrarmi la scaletta, che contiene comunque (oltre ai pezzi dell’album nuovo, che provvederò subito ad acquistare...) molti pezzi che adoro. Mentre gli stringo la mano per salutarlo (un po’ per non abusare della sua gentilezza, un po’ perchè mia moglie ed i miei amici stanno aspettando me per ordinare la cena...) gli dico che “I shall be healed”, così come “Forever”, è un brano che eseguo con la mia band. Lui spalanca gli occhi e mi chiede se sto prendendolo in giro. No, gli rispondo, le facciamo, e alla gente piacciono moltissimo: alla fine della serata ci chiedono spesso di chi erano quelle canzoni di cui non conoscono l’autore. A quel punto lui mi guarda in tralice e mi chiede “La vuoi cantare come me?”. Stavolta sono io a domandargli se mi sta prendendo in giro, ma lui, serissimo, mi dice che no, gli farebbe molto piacere se io cantassi la canzone: lui suonerà il piano e farà la seconda voce. Mi sfiora, ma solo per un attimo, il pensiero di non essere all’altezza della cosa, ma decido di cogliere l’occasione ed accetto. Un paio d’ore più tardi lo sentirò chiamare “my new friend Massimo” sul palco: mi alzo (con mia moglie che mi rivolge uno sguardo tra il perplesso e l’interrogativo...) (non le ho detto nulla per tutta la serata per non rovinarle la sorpresa...) e mi metto davanti al microfono. Per la seconda volta un pensiero molesto fa capolino e mi fa un po’ tremare le gambe: cazzo, sto per cantare insieme a un tipo di cui possiedo tutti i dischi e che ho ascoltato un sacco di volte in macchina o nell’iPod, in un suo concerto! E se facessi una figura di merda? E se dovessi dimenticarmi le parole? Ma non appena parte la prima nota di piano mi passa tutto: le parole le so, la melodia mi prende, sto godendo come un riccio e basta. Alla fine del pezzo la gente mi applaude, lo so che sono applausi di cortesia e nulla più, ma non me ne frega niente. Michael si alza e io gli tendo la mano per ringraziarlo. Lui invece mi abbraccia e mi sussurra all’orecchio “Man, that was really amazing!”.
Una volta di più, ora posso davvero morire contento.