Bill Brandt

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@Ljuba@
00lunedì 22 maggio 2006 13:20
Bill Brandt è il più illustre dei fotografi inglesi del Novecento, quantunque sia tedesco di nascita.

La sua produzione è stata multiforme ed egli si è abilmente confrontato con generi come il reportage, il ritratto ed il paesaggio, oltre al nudo per il quale è soprattutto noto.
La sua lunga carriera copre un cinquantennio, nel corso del quale egli muta il suo stile, restando però sempre coerentemente legato ai principi ideologici ed estetici cui aveva aderito in giovane età, entrando in contatto col Surrealismo attraverso Man Ray ed attraverso riviste importanti come "Littérature" e "La Révolution Surréaliste".
Fin dai primi reportage rivela tale inclinazione, per onorare la quale egli non prova alcuno scrupolo nel chiedere ad amici o parenti di posare per lui ricreando situazioni tipiche per l’epoca, piuttosto che riprenderle dalla realtà; scatti di tale natura come "Parlour Maids" o "The Cocktails in the Surrey Garden", appaiono poi candidamente mescolati a riprese di fatti reali nel suo "English at Home".

I suoi inizi sono fortemente influenzati dalla scoperta delle immagini di Atget: la loro semplicità ed il senso metafisico, che esse emanano, affascinano Brandt. Nel suo saggio, apparso nel libro "Camera in London", egli dichiara apertamente il proprio interesse per certe atmosfere oniriche, da quadro di De Chirico (ma anche così tipicamente atgetiane), evocanti di un senso di solitudine umana e di lontananza. La capacità di cogliere tali situazioni, che passano inosservate agli occhi della gente comune, sarebbe, secondo questo scritto, appannaggio del buon fotografo, e frutto di un distacco, grazie al quale il mondo può apparire sempre nuovo ed inconsueto ai suoi occhi.
Un peso sull’ispirazione formale di Brandt, l’avranno pure film quali "Un chien andalou" e "L’âge d’or" di Luis Buñuel e Salvador Dalì.
La sua fotografia ha, in quel momento storico, come scopo la lotta contro il capitalismo fondato sulle sperequazioni di classe, e contro i condizionamenti repressivi della borghesia, tipica del pensiero surrealista, ma anche l’ambiente socialdemocratico col quale era stato in contatto a Vienna.
La protesta brandtiana non è però portata avanti con modalità plateali e manifestamente provocatorie, è bensì sottile e pervasiva nell’apparente innocenza degli accostamenti che egli opera fra immagini d’opulenza e immagini di miseria nera.

Affermando la propria libertà creativa, scrive: "La Fotografia non ha regole. Non è uno sport. E’ il risultato che conta, non come lo si è ottenuto".
E’ la continua esigenza di guardare il mondo con occhi sempre nuovi, che lo porta ad acquistare una Kodak di grande formato con un obiettivo grandangolare; e il mutare delle condizioni che lo hanno portato ad eleggere il reportage a propria forma d’espressione personale, lo spinge gradualmente a dedicarsi a tutt’altro.

A questo punto della sua carriera, l’impronta del surrealismo diventa più chiaramente manifesta anche al livello estetico e formale.
Perfino nei paesaggi, che egli fotografa in omaggio alla propria passione letteraria, e che sono spesso indicati come un trionfo dello spirito gotico e romantico, un occhio attento può scoprire diversi spunti d’ambiguità e straniamento surreale;
Rosa Maria Puglisi




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